Si tratta di un termine di origine ebraica che è passato nella liturgia quasi nella sua forma originaria; significa “lodate il Signore” ed è un’acclamazione presente nel libro dei Salmi ma anche in quello dell’Apocalisse.Si tratta di un’acclamazione tipica del tempo pasquale, comune a molte confessioni cristiane e che indica gioia, ringraziamento; nella Messa l’alleluia viene cantato prima della proclamazione del Vangelo e il suo uso è stato esteso a tutto l’anno liturgico, tranne che in Quaresima, ossia nel periodo che prepara alla Pasqua. È nella solenne veglia della sera del sabato santo, infatti, che la Chiesa dopo quaranta giorni di digiuni e preghiere fa esplodere la sua gioia nell’annuncio del Signore Risorto con il grande alleluia, intonato dal sacerdote, e il termine si ripeterà più volte in tutto il tempo pasquale, specie nella liturgia delle ore.

Ecco cosa dice l’Ordinamento generale del Messale Romano sul canto dell’alleluia: «Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l’Alleluia o un altro canto stabilito dalle rubriche, come richiede il tempo liturgico. Tale acclamazione costituisce un rito o atto a sé stante, con il quale l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e con il canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi, sotto la guida della schola o del cantore, e se il caso lo richiede, si ripete; il versetto invece viene cantato dalla schola o dal cantore» (OGMR, 62).

Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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