Come abbiamo detto nel precedente post, i paramenti liturgici hanno una storia antica: le vesti del mondo greco e romano, che indicavano uno status sociale o un ufficio di governo, passarono nell’ambito ecclesiastico più o meno con la stessa funzione. L’abito serviva e serve tutt’ora a riconoscere un presbitero o un monaco o una suora, il loro ordine ma anche il loro “grado” dal momento che, per esempio, il Papa veste di bianco, il cardinale di porpora e il vescovo di paonazzo (un viola scuro).

Nel contesto liturgico i paramenti hanno un senso ancora più profondo: essendo diversi dagli abiti che indossiamo tutti i giorni, ci ricordano che il “tempo” della liturgia è qualcosa di diverso da quello della vita quotidiana, ci rimandano a una dimensione di preghiera e dialogo con Dio ricordandoci che la liturgia è un tempo di grazia. Ma i paramenti indicano anche che chi celebra lo fa in persona Christi, cioè non in suo nome ma nel nome di Cristo mediatore fra il Padre e i figli.

L’abito liturgico di base per tutti i ministri, ordinati e non, è il camice o alba, cioè una veste di colore bianco che può essere variamente ornata e composta anche dall’amitto e dal cingolo. Poi c’è la stola, comune a tutti i ministri ordinati (di cui ci occuperemo nella prossima puntata) e infine la casula o la pianeta, una veste liturgica propria del vescovo e del presbitero e che si usa durante la santa Messa. “Nella Messa e nelle altre azioni sacre direttamente collegate con essa, veste propria del sacerdote celebrante è la casula o pianeta, se non viene indicato diversamente; la casula s’indossa sopra il camice e la stola” (Ordinamento generale del Messale Romano n. 337).

Si tratta di un paramento liturgico molto antico il cui nome, secondo Isidoro di Siviglia, significava “piccola casa”, proprio a indicare la copertura quasi totale del corpo. Forma che, col passare dei secoli, ha subito varie evoluzioni: originariamente molto ampia, tanto da coprire tutto il corpo ma senza maniche e solo con un buco per la testa, nel tempo si è “ristretta” fino a coprire solo il tronco del corpo lasciando libere le braccia. Negli ultimi decenni si è recuperata l’antica foggia e la casula è tornata a essere ampia. La casula segue il colore liturgico del tempo.

Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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