Sacerdote italiano vissuto nel 1800 in Piemonte, è stato proclamato santo da Pio XII nel 1947. Nacque in una famiglia contadina e profondamente religiosa, per poi entrare in seminario e divenire un presbitero; amico di Giovanni Bosco, che indirizzò verso i ragazzi poveri di Torino, fu molto vicino ai detenuti e alle loro famiglie, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “prete della forca” per la sua abitudine di accompagnare i condannati a morte sino alla fine. Una figura molto amata e popolare, annoverata tra i “santi sociali torinesi”; era gracile e minuto ma si rivelò un gigante della fede, aiutando e formando anche altri sacerdoti al Convitto ecclesiastico come san Giovanni Bosco, il beato Francesco Faà di Bruno, il beato Clemente Marchisio.

«Il suo segreto era semplice – ha spiegato Papa Benedetto XVI nell’udienza generale del 30 giugno 2010, ricordando la figura del santo – Essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane, quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime. Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino, ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale».

«Un altro elemento caratterizza il ministero del nostro Santo – ha aggiunto il Papa – L’attenzione agli ultimi, in particolare ai carcerati, che nella Torino ottocentesca vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti. Anche in questo delicato servizio, svolto per più di vent’anni, egli fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell’amore sincero, la cui origine era Dio stesso. La semplice presenza del Cafasso faceva del bene: rasserenava, toccava i cuori induriti dalle vicende della vita e soprattutto illuminava e scuoteva le coscienze indifferenti».

Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *