Commento alla lettura domenicale del Vangelo offerto dal presbitero don Salvatore Lazzara, dell’Arcidiocesi di Palermo.

“Io sono il buon pastore!” Per sette volte Gesù durante la sua predicazione si presenta con gli appellativi: “Io sono” pane, vita, strada, verità, vite, porta e pastore buono-bello”. E non intende “buono” nel senso di paziente e delicato con pecore e agnelli; non un pastore, ma il Pastore, quello vero. Non un badante di pecore salariato, ma l’unico, che mette sul piatto la sua vita per amore del gregge. Il testo evangelico originale dice testualmente: “ io sono il bel pastore”. La sua bellezza non sta solo nell’aspetto, ma nel rapporto leale con il gregge, espresso con un verbo che il Vangelo oggi ripropone per ben cinque volte: “io offro/io dono”. Qual è il contenuto di questo dono? Il massimo possibile: “offrire-dare la vita”. Molto di più che pascoli e acqua, infinitamente di più che erba e ovile sicuro! Il pastore è vero perché compie il gesto più regale e potente: offrire e donare la propria vita.

Il Bel Pastore è energico, determinato, deciso e combattivo. Perché a volte le pecore vanno cercate là dove si perdono. Altre volte vanno difese dai tanti lupi che incontrano. E qui la similitudine del “bel pastore” si apre su di un piano  spiazzante, eccessivo: nessun pastore sulla terra è disposto a morire per le sue pecore; a battersi sì, ma a morire no; è più importante salvare la vita che il gregge; perdere la vita è qualcosa di irreparabile. Così entra in gioco il Dio di Gesù, il pastore che per salvare me, perde se stesso.

Il Dio-pastore, non chiede ma offre; non toglie la vita ma dà la sua vita anche a coloro che gliela tolgono. Con le parole “io offro la vita” Gesù non si riferisce soltanto al suo morire, quel venerdì, inchiodato al legno della Croce. “Dare la vita” è il “mestiere” continuo e costante di Dio, la sua attività inesausta, al modo della vite che dà linfa al tralci (Giovanni) e della sorgente che zampilla acqua viva (Samaritana).  Al contrario, il mercenario, vede venire il lupo e fugge perché non gli importa delle pecore.

Nessuno ci difende e i mercenari travestiti da pastori, non fanno altro che illudere il gregge e invece di portarlo nel regno della vita, lo conducono nella distesa arida della morte e della sofferenza.  Anche le persone che ci sono più vicine, che immaginiamo essere disposte ad aiutarci, ad amarci, ad accoglierci per quello che siamo, senza giudicare, senza innescare dinamiche perverse, succede; si svelano per ciò che sono: mercenari. Amano per interesse. Amano sì, ma a patto di amarle. Aiutano e donano sì, per poi rinfacciare e far pesare quello che hanno fatto. Il lupo come alleato del mercenario, è un nemico ancestrale dell’uomo e degli animali che lo servono: è un animale crudele e sanguinario che non possiede la fierezza del leone e nemmeno la astuzia della volpe e non è nemmeno particolarmente coraggioso, ma ama cacciare di notte in assenza del pastore o dei cani da guardia, protetto dal branco. È Gesù stesso ad usare l’immagine di questo animale per indicare l’azione di colui che rapisce e disperde il gregge. La sua bramosia e la sua insaziabile voracità fanno della sua azione una minaccia terribile per l’integrità del gregge. Il lupo è l’antitesi simbolica dell’agnello. Per questo il lupo secondo i padri della Chiesa è immagine anche di tutti coloro che non hanno lo Spirito di Cristo e che diffondono nel gregge la menzogna e la falsità: nello stesso tempo sant’Agostino dice che il lupo, quando ascolta la voce del pastore, cambia natura e da lupo diventa pecora. Ma, per tornare all’immagine del Vangelo di questa domenica, è necessario che colui che ha cura del gregge sia un pastore e non un mercenario. Per questo anche Pietro prima di vedersi affidata la cura delle pecore deve fare un dialogo con Gesù per verificare che sia nelle condizioni di poter essere pastore. Mentre il mercenario tutto quello che fa lo fa per un tornaconto e non può perdere la propria vita perché è mosso da una logica di guadagno, il pastore è libero di donare la propria vita: “io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso”. Lupi e mercenari: con questi dobbiamo fare i conti continuamente. Cristo ci ha redento, ha dato la possibilità di permettere alla nostra parte più vera, più luminosa, di emergere, di fiorire, di innalzarsi.

Il Bel Pastore, non si occupa solo delle pecore disperse dell’ovile, ma va alla ricerca anche di quelle che non appartengono all’ovile. Poiché gli ebrei si consideravano le pecore di Dio secondo l’espressione del salmista 78,13 “noi siamo il tuo popolo e pecore del tuo pascolo” sicché avrebbero potuto dire che il Messia-Pastore dava la sua vita soltanto per loro, il Signore a scanzo di equivoci, aggiunge che dona la vita non solo per loro, bensì anche per gli altri. Del resto, già il profeta Isaia aveva detto del Messia: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra (Is 49,6)”.

Il riferimento alla morte di Cristo spiega l’apertura universalistica del discorso nel brano del “Bel Pastore”. Gesù parla di “altre pecore, non appartenenti a questo recinto”, cioè al giudaismo, che egli deve guidare: si tratta dei credenti provenienti dai popoli gentili. Uno degli effetti della morte di Cristo è il raduno dei figli di Dio dispersi, la creazione di un unico gregge formato da persone provenienti non solo dal giudaismo, ma anche da tutti i popoli: “Quando sarò innalzato da terra, io attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Quando, in Gv 10,16 si usano i verbi al futuro “ascolteranno” e “diventeranno”, è evidente che si intravede l’ingresso di “pecore che non sono dell’ovile” nella chiesa, evento che si produrrà dopo la Pasqua.  Il verbo usato da Giovanni “diventeranno”, suppone che tale unità e comunione sarà crescente e progressiva, fino ad aprirsi a una prospettiva escatologica. Non stupisce pertanto ciò che dice l’Apocalisse: “L’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro Pastore, e li guiderà alle sorgenti della vita” (Ap 7,17). Così l’intero discorso su Gesù buon pastore sfocia nella contemplazione del compimento dell’opera di salvezza. Che è anche la rivelazione massima dell’amore del Padre verso il Figlio e per tutti gli uomini.

Per concludere: nella IV Domenica di Pasqua, Domenica del “Bel Pastore”, ricorre la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Tutti i fedeli sono esortati a pregare in modo particolare per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata. Preghiamo per quanti il Signore continua a chiamare per nome, come fece un giorno con gli Apostoli sulla riva del Lago di Galilea, perché diventino “pescatori di uomini”, cioè suoi più diretti collaboratori nell’annuncio del Vangelo e nel servizio del Regno di Dio in questo nostro tempo travagliato ma affascinante. Domandiamo per tutti i sacerdoti i diaconi i vescovi e i consacrati e le consacrate, il dono della perseveranza: che si mantengano fedeli alla preghiera, celebrino la santa Messa con fede ed amore, vivano in ascolto della Parola di Dio ed assimilino giorno dopo giorno gli stessi sentimenti ed atteggiamenti di Gesù Buon Pastore per la santificazione del popolo santo di Dio affidato alle loro cure.

Segui Porta di Servizio

Puoi ricevere le notifiche degli articoli di PORTA DI SERVIZIO iscrivendoti gratuitamente nel nostro gruppo Telegram, qui t.me/portadiservizio oppure qui t.me/alsorgeredelsole per ricevere la riflessione (un minuto e trenta secondi) spirituale mattutina.

Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *