Rinnovare l’iniziazione cristiana di bambini e adolescenti con linguaggi e strumenti nuovi, immaginare percorsi capaci di coinvolgere le famiglie in un contesto sociale profondamente cambiato, ridare centralità alle comunità nella catechesi e nell’annuncio. Sono stati questi alcuni dei temi trattati nel corso dell’aggiornamento teologico-pastorale dell’arcidiocesi di Palermo: due giorni per il clero, un pomeriggio per i laici impegnati in parrocchia, per riflettere insieme sulla proposta che la Chiesa palermitana sta mettendo a punto per rivoluzionare il modo in cui conferire prima comunione e cresima.

Un progetto che va avanti dal 2019 e che adesso è entrato nel vivo, anche se ancora non è stato definito nei dettagli ed è quindi ancora al centro del dibattito, ma che comunque promette di cambiare profondamente la vita delle parrocchie e il modo in cui approcciarsi ai bambini del “catechismo” e alle loro famiglie. “Lo stiamo limando e poi ogni comunità parrocchiale potrà adattarlo alla propria realtà”, ha annunciato al termine l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice.

Una riflessione arricchita dal contributo di due relatori di livello: don Alberto Giardina, direttore dell’Ufficio liturgico nazionale, e don Alberto Zanetti dell’ufficio catechistico Cei. Due esponenti di primo piano della Chiesa italiana che, nel salone della parrocchia Mater ecclesiae di viale Francia, davanti a un centinaio di operatori pastorali (che con una comunicazione più puntuale sarebbero potuti essere anche di più),  hanno catturato l’attenzione della platea che non ha risparmiato applausi e apprezzamenti.

Palermo non è la prima Chiesa in Italia a sperimentare nuove forme di catechesi e le due relazioni hanno avuto il merito di approfondire vari aspetti: il valore del sacramento della Cresima, l’eccessiva distanza temporale tra un sacramento e l’altro, il ruolo di “quarto incomodo” assegnato al sacramento della Riconciliazione che formalmente non fa parte dell’iniziazione cristiana ma nei fatti lo è, la mistagogia, la necessità che l’intera comunità ecclesiale sia protagonista dell’annuncio. E ancora il bisogno di fare i conti con la realtà di oggi: perché se la prima comunione a sette anni (ai tempi di Papa Pio X) poteva avere un senso in una società profondamente cristiana, in cui i bambini si accostavano ai sacramenti dopo aver fatto esperienza della fede nell’ambito familiare, oggi ci troviamo in situazioni profondamente differenti in un contesto sempre più secolarizzato ed eterogeneo. Se da un lato emerge in modo prepotente la necessità di un coinvolgimento delle famiglie, dall’altro non si può non fare i conti con famiglie molto diverse fra loro e quindi bisognose di un approccio adeguato alla singola condizione.

Un percorso non facile da intraprendere per vari motivi: non ci sono soluzioni preconfezionate o di sicuro successo, né si può immaginare che un cambiamento di tale portata sia privo di difficoltà e incomprensioni o che a farsene carico siano i soli catechisti, per quanto volenterosi e preparati. Degna di nota anche la richiesta all’Arcivescovo di rendere obbligatoria per tutti i catechisti la formazione diocesana.

Palermo si riscopre così un laboratorio anche a livello nazionale, nel tentativo di immaginare una catechesi capace di far scoprire alle donne e agli uomini del nostro tempo la portata dirompente dell’annuncio cristiano, di un Dio pronto a incontrarci e ad amarci in modo incondizionato.

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Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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