L’ultima catechesi tenuta da Papa Francesco risale a mercoledì scorso, il 17 gennaio, durante l’udienza generale in Vaticano, ed era la “quarta puntata” di un ciclo dedicato ai vizi e alle virtù. In particolare il tema era quello della lussuria e le parole pronunciate dal Pontefice hanno rapidamente guadagnato spazio in tv e sui giornali che hanno annunciato grandi rivoluzioni e cesure col passato.
In realtà il Papa non ha detto nulla di sconvolgente, o almeno niente di particolarmente nuovo. Che la Bibbia non condannasse la sessualità tra uomo e donna era ben noto, come dimostra il Cantico dei Cantici, così come la concezione del sesso come dono e non come peccato.
Le difficoltà della Chiesa
Il clamore mediatico dimostra però che la Chiesa, intesa non solo come il Vaticano ma nella sua globalità, trova molte difficoltà nel comunicare ciò che professa. Basterebbe leggere il Catechismo, approvato più di 25 anni fa, per “scoprire” che il sesso non è un tabù, né ha come unico fine la procreazione. “L’unione degli sposi” consente di realizzare il “duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita” (CCC, 2363). Due aspetti che devono sempre camminare di pari passo, a meno di non voler “compromettere i beni del matrimonio e l’avvenire della famiglia”.
Ma se volessimo andare più indietro nel tempo, scopriremmo che già nel 1951 Papa Pio XII diceva che “il Creatore stesso […] ha stabilito che nella reciproca donazione fisica totale gli sposi provino un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi gli sposi non commettono nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano ciò che il Creatore ha voluto per loro”.
Sorprende, quindi, la “sorpresa” di molti credenti di fronte alle parole pronunciate dal Papa. Il problema, evidentemente, sta nell’incapacità della Chiesa di pronunciare parole chiare sul tema dell’amore e della sessualità in grado di sfatare luoghi comuni, o comunque di spiegare in modo chiaro che già da diversi decenni, su questo tema, si sono fatti grandi passi in avanti.
L’emergenza educativa
Alcuni recenti fatti di cronaca, soprattutto i femminicidi, hanno posto l’attenzione sul tema dell’educazione all’amore, all’affettività e alla sessualità che spesso è troppo carente. La concezione distorta dell’amore, inteso non come dono ma come dominio e possesso dell’altro, fino alle estreme conseguenze, è un fenomeno che si presenta anche nelle giovani generazioni. Statistiche e ricerche dimostrano come ormai si sia drasticamente abbassata l’età in cui le ragazze e i ragazzi fanno le prime esperienze sessuali, spesso in modo inconsapevole e con tutti i rischi che possono derivarne.
Le paure dei cattolici
E la Chiesa? In questo, sembra aver abdicato al proprio ruolo pedagogico ed educativo. Di fronte alla banalizzazione della sessualità, alla mercificazione del corpo, a un matrimonio inteso sempre più come usa e getta, ai “divorzi lampo”, a una procreazione svilita e vilipesa da quello che viene erroneamente definito come “progresso tecnico e scientifico”, ci sarebbe bisogno di una proposta alternativa. Quella di un amore gratuito e senza secondi fini, di un matrimonio inteso come dono reciproco, di relazioni che non siano tossiche ma fondate sul rispetto e sul senso del limite, di figli che non sono proprietà o capriccio, di una fedeltà coniugale che, nonostante quello che tanti dicono, non è impossibile ma è addirittura un’esperienza meravigliosa.
I cattolici però in questo sembrano timidi, quasi impauriti di essere considerati anacronistici e fuori tempo, addirittura impopolari. In un momento storico in cui da più parti arriva la richiesta di “adeguare” la morale all’oggi per avvicinare i giovani alla fede, mascherando il vero obiettivo di annacquare valori e ideali, la Chiesa dovrebbe tornare a spiegare la sua concezione dell’amore, della sessualità, del matrimonio, della relazione di coppia, della procreazione.
La colonizzazione culturale
In questo ci aiuta la proposta pastorale che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha consegnato alla Chiesa ambrosiana lo scorso settembre ma che, per la sua bellezza e profondità, ha una valenza molto più ampia. “La comunità cristiana – si legge – deve assumere la responsabilità di educare all’amore in tutte le dimensioni affettive, sentimentali, sessuali. La proposta educativa cristiana è chiamata a offrire l’esemplarità di persone adulte, uomini e donne che sanno amare e accompagnare i ragazzi e le ragazze nell’imparare ad amare”.
Delpini prova a contrastare quella che definisce una “colonizzazione culturale che impone la banalità dei luoghi comuni, la riduzione della relazione ai rapporti sessuali, la rassegnazione all’incontrollabilità dei sentimenti, delle passioni, delle pulsioni”. Incoraggia la comunità cristiana a “non calare istruzioni e consigli dall’alto, ma accettare di fare un cammino con i giovani” per aiutarli a “cogliere il pieno significato e valore della sessualità in quanto ricchezza integrante di ogni individuo”.
La “strada” di Delpini
L’arcivescovo indica la strada da seguire: la Chiesa non deve imporre niente, né condannare (si condanna il peccato, non il peccatore), emarginare o escludere perché “i cristiani non vogliono e non possono giudicare nessuno”, ma accompagnare, spiegare, accogliere, offrire credibile testimonianza senza che questi comporti la rinuncia alle cose in cui crede e che professa o un loro annacquamento. Solo così potrà, ad esempio, dimostrare la bellezza di un amore che è anzitutto donazione di sé e impegno per la vita, di una fedeltà (nel matrimonio o nella vita consacrata) che non è “un peso da portare, un vincolo mortificante ma la grazia di sperimentare […] la rivelazione inesauribile del bene che ciascuno custodisce”.
Un invito alla gioia
Una Chiesa capace di ascoltare, di accompagnare giovani e adulti, di condividerne ansie e preoccupazioni ma che non per questo rinuncia all’annuncio del Vangelo e a un messaggio che mira al bene autentico dell’uomo e della donna, senza compromessi. “Nel contesto in cui viviamo – scrive Delpini – la proposta cristiana può essere considerata come una sorta di stranezza d’altri tempi, può essere disprezzata come ridicola, può essere intesa come la pretesa di giudicare, come una invadenza fastidiosa. Ma i cristiani non vogliono e non possono giudicare nessuno. Sperimentano però che, vivendo secondo lo Spirito di Dio e l’insegnamento della Chiesa, ricevono pienezza di vita, hanno buone ragioni per avere stima di sé e degli altri, affrontano anche le prove animati da invincibile speranza. Non ritengono di essere migliori di nessuno. Sentono però la responsabilità di essere originali e di avere una parola da dire a chi vuole ascoltare, un invito alla gioia”.
Per approfondire
Educare all’amore contro ogni individualismo: la scossa di Delpini alla Chiesa
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