Partiamo da un caso specifico, raccontato dalla stampa locale ma che ha avuto una grande eco sui media e sui social network: una famiglia avrebbe voluto inserire una bambina di 7 anni, affetta da sindrome dello spettro autistico, nel corso di catechismo frequentato dal fratello di 9 presso la comunità di Sant’Oliva, a Palermo, ma la parrocchia si sarebbe opposta perché sprovvista di catechisti adeguatamente preparati. Una vicenda che ha fatto discutere, scatenando reazioni sul web abbondantemente sopra le righe ma che ci offre (al di là del caso specifico) la possibilità di fare a mente fredda alcune riflessioni sulle parrocchie e sull’inclusività.

Diciamo subito che la Chiesa ha il dovere di essere inclusiva e di accogliere tutti, specie le famiglie di quei bambini con particolari esigenze: un “obbligo” che non deriva solo dalla carità evangelica ma dalla missione stessa della Chiesa chiamata ad annunciare a tutti la “buona novella”, anche a chi ha difficoltà cognitive. “Dio, nel suo disegno d’amore, non vuole escludere nessuno ma vuole includere tutti”, ha sottolineato Papa Francesco.

Una formazione specifica

Una necessità di cui la comunità ecclesiale ha piena consapevolezza, sia a livello nazionale che locale: la così detta “catechesi inclusiva”, rivolta a chi ha disabilità o comunque delle difficoltà, è una realtà strutturata e da anni presente nelle diocesi italiane che organizzano eventi di formazione e seminari finalizzati a formare catechisti che possano essere preparati in tal senso. E Palermo non fa eccezione: Portadiservizio qualche mese fa ha raccontato del corso organizzato dal settore per la catechesi inclusiva dell’Ufficio diocesano per la catechesi con decine di partecipanti e il coinvolgimento di docenti universitari ed esperti del settore (clicca qui per il video).

Una sensibilità che magari si dà per scontata, ma che non lo è affatto: al di là delle istituzioni scolastiche, tenute per legge a garantire un’assistenza specifica, non è frequente che realtà non pubbliche (come sono la Chiesa, le diocesi e le parrocchie) curino questo aspetto, per quanto importante e decisivo per la vita di tantissime famiglie.

Catechisti, un problema anche di numeri

E allora qual è il problema? Probabilmente sta nel fatto che i 120 catechisti preparati a una catechesi inclusiva, per una realtà vasta come quella dell’arcidiocesi di Palermo che conta 178 parrocchie e 900 mila abitanti, sono troppo pochi. Ma è bene ricordare che le centinaia di persone impegnate nei corsi di catechismo in vista della prima comunione operano tutte per fede e amore: donne e uomini che dedicano il proprio tempo al prossimo in modo totalmente gratuito e sottraendolo al lavoro o alla famiglia. Alcuni anche avanti con l’età e quindi, magari, con qualche difficoltà in più a frequentare corsi di formazione specifici.

C’è da aggiungere che molte parrocchie, oggi, hanno problemi persino a trovare catechisti: in una società come quella attuale, in cui tutti siamo super impegnati, dedicare del tempo al prossimo non è così scontato. I catechisti di oggi svolgono, peraltro, un compito veramente gravoso che non si limita alla formazione dei bambini, gestendo gruppi a volte troppo numerosi, ma comprende anche il curare le relazioni con i genitori e le famiglie, rappresentando a volte l’unico punto di contatto con la realtà ecclesiale. Senza dimenticare che la catechesi moderna richiede un continuo aggiornamento delle modalità e dei linguaggi, a cui deve accompagnarsi una formazione specifica sui contenuti della fede che richiede tempo e impegno.

Le sfide per la Chiesa

Si badi, questa non vuole essere una difesa d’ufficio: le famiglie con figli diversamente abili o con difficoltà di vario tipo meritano tutto l’accompagnamento, la vicinanza e l’aiuto di cui, come Chiesa, siamo in grado. E nel caso specifico, probabilmente, c’è stato qualche difetto di comunicazione di cui dobbiamo comunque farci carico. Il problema però è più generale: i bambini hanno il diritto di essere accolti e seguiti da persone preparate, “capaci – come scrive l’arcidiocesi in una nota – di aiutare loro e le comunità stesse a vivere percorsi realmente inclusivi”. La Chiesa ha il dovere di investire maggiormente sulla formazione per la catechesi inclusiva, magari prevedendo anche una persona a parrocchia che possa poi guidare gli altri operatori pastorali, e di sensibilizzare i parroci in tal senso ma questo non vuol dire pensare che le comunità parrocchiali, che oggi si reggono sul servizio gratuito e volontario di tanti laici, possano rispondere in modo sempre puntuale e completo a ogni esigenza. Il che rientra in un ragionamento più complessivo che bisognerebbe fare sulle parrocchie, pensate e strutturate come tanti anni fa: col tempo le vocazioni sono diminuite, la società è mutata, le sensibilità e le necessità sono variate, persino la Chiesa non è la stessa di 40 o 50 anni fa. Prima ce ne renderemo conto, prima sapremo affrontare più efficacemente l’oggi e il domani.

Leggi anche: La nota “inclusiva” dell’Ufficio catechistico diocesano di Palermo

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Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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