Pubblichiamo questo splendido articolo di don Salvatore Lazzara – che spiega il linguaggio del cuore nella tradizione cristiana, ebraica e islamica , ringraziandolo (e non solo per questo contributo) per le competenze, l’amicizia e la disponibilità che offre ai nostri lettori, come prezioso collaboratore di “Porta di Servizio”.

Il culto del Sacro Cuore come lo conosciamo oggi ha avuto origine dalle visioni di Margherita Maria Alacoque nel 1673. Questa devozione fu ampliata da altre apparizioni a Suor Maria del Divin Cuore nel XIX secolo e da Papa Pio IX che istituì la festa del Sacro Cuore che celebriamo ogni anno. Quali sono le origini del culto del Sacro Cuore? Cosa tramanda la tradizione ebraica e musulmana sul “cuore”? (قلب – לב) Quale messaggio consegnò Gesù a Margherita Maria Alacoque nel XVII secolo?

La devozione al Sacro Cuore di Gesù

La devozione al Sacro Cuore di Gesù, era già praticata nell’antichità cristiana e nel Medioevo. Si diffuse in modo capillare nel secolo XVII ad opera di San Giovanni Eudes (1601-1680) e soprattutto di Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690). La festa del Sacro Cuore fu celebrata per la prima volta in Francia, probabilmente nel 1685. Santa Margherita Maria Alacoque, suora francese, entrò il 20 giugno 1671 nel convento delle Visitandine di Paray-le-Monial (Saone-et-Loire), visse con grande semplicità e misticismo la sua esperienza di religiosa e morì il 17 ottobre 1690 ad appena 43 anni. Sotto questa apparente uniformità, si nascondeva però una di quelle grandi vite del secolo XVII, infatti nel semplice ambiente del chiostro della Visitazione, si svolsero le principali tappe dell’ascesa spirituale di Margherita, diventata la messaggera del Cuore di Gesù nell’epoca moderna.

La prima visione, avvenne il 27 dicembre 1673, festa di san Giovanni Evangelista. Gesù le apparve e Margherita si sentì “tutta investita della divina presenza”; la invitò a prendere il posto che san Giovanni aveva occupato durante l’Ultima Cena e le disse: “Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per adempiere a questo grande disegno, affinché tutto sia fatto da me”. Una seconda visione le apparve agli inizi del 1674, forse un venerdì; il Cuore divino si manifestò su un trono di fiamme, più raggiante del sole e trasparente come cristallo, circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai peccati e sormontato da una croce, perché dal primo istante che era stato formato, era già pieno d’ogni amarezza. Sempre nel 1674 le apparve la terza visione, anche questa volta un venerdì dopo la festa del Corpus Domini; Gesù si presentò alla santa tutto sfolgorante di gloria, con le sue cinque piaghe, brillanti come soli e da quella sacra umanità uscivano fiamme da ogni parte, ma soprattutto dal suo mirabile petto che rassomigliava ad una fornace e essendosi aperto, ella scoprì l’amabile e amante Cuore, la vera sorgente di quelle fiamme. Poi Gesù lamentando l’ingratitudine degli uomini e la noncuranza rispetto ai suoi sforzi per far loro del bene, le chiese di supplire a questo. Gesù la sollecitò a fare la Comunione al primo venerdì di ogni mese e di prosternarsi con la faccia a terra dalle undici a mezzanotte, nella notte tra il giovedì e il venerdì. Vennero così indicate le due principali devozioni, la Comunione al primo venerdì di ogni mese e l’ora santa di adorazione. La quarta rivelazione più intensa e decisiva, ebbe luogo il 16 giugno 1675 durante l’ottava del Corpus Domini. Il Signore, le disse che si sentiva ferito dalle irriverenze dei fedeli e dai sacrilegi degli empi, aggiungendo: “Ciò che mi è ancor più sensibile è che sono i cuori a me consacrati che fanno questo”. Il Signore, chiese ancora che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini, fosse dedicato a una festa particolare per onorare il suo Cuore e con Comunioni per riparare alle offese da lui ricevute. Inoltre indicò come esecutore della diffusione di questa devozione, il padre spirituale di Margherita, il gesuita san Claude de la Colombiere (1641-1682), superiore della vicina Casa dei Gesuiti di Paray-le-Monial.

Il cuore (לב) nella tradizione ebraica

Per prima cosa occorre dire che bisogna fare molta attenzione al fatto che la traduzione “cuore” (לב) può indurre in errore. Infatti, il nostro modo attuale di intendere “cuore” è condizionato dalla mentalità occidentale a cui appartenuamo. Il lettore della Bibbia, leggendo in Es 7,13 “che il cuore del faraone si indurì” – וַיֶּחֱזַק֙ לֵ֣ב פַּרְעֹ֔ה וְלֹ֥א שָׁמַ֖ע אֲלֵהֶ֑ם כַּאֲשֶׁ֖ר דִּבֶּ֥ר יְהוָֽה; può capire che i sentimenti del re egizio si fecero duri tanto che divenne insensibile. Dobbiamo innanzitutto comprendere che lo scopo della Torah non è quello di trattare argomentazioni filosofiche, neppure se relative all’ambito della religione. Il versetto appena citato, non si occupa della relazione tra il libero arbitrio dell’uomo e la prescienza di Dio, o di altri problemi filosofici simili. All’epoca in cui la Torah fu scritta, la filosofia greca, con tutto il suo sistema fondato sulla logica, non era neppure stata ideata. Inoltre, la Torah non si rivolge ad una cerchia ristretta di grandi pensatori, bensì all’intero popolo, e si esprime in un linguaggio comprensibile alle masse, secondo la mentalità della gente comune.  Per quanto riguarda l’indurimento del cuore del Faraone, la prima cosa da considerare è il modo in cui l’ebraico antico si esprime. Nel linguaggio biblico, si usa abitualmente attribuire ogni singolo fenomeno all’azione diretta di Dio. Nel menzionare una donna sterile, ad esempio, la Bibbia afferma che “Il Signore aveva chiuso il suo grembo” (1Samuele 1,5),  – וּלְחַנָּ֕ה יִתֵּ֛ן מָנָ֥ה אַחַ֖ת אַפָּ֑יִם כִּ֤י אֶת־חַנָּה֙ אָהֵ֔ב וַֽיהוָ֖ה סָגַ֥ר רַחְמָֽהּ  nel caso di un incidente in cui una persona ne uccide un’altra involontariamente, si dice che “Dio lo ha fatto cadere nelle sue mani” (Esodo 21,13), – וַאֲשֶׁר֙ לֹ֣א צָדָ֔ה וְהָאֱלֹהִ֖ים אִנָּ֣ה לְיָד֑וֹ וְשַׂמְתִּ֤י לְךָ֙ מָק֔וֹם אֲשֶׁ֥ר יָנ֖וּס שָֽׁמָּה

Ogni avvenimento ha delle proprie cause, e queste, a loro volta, derivano da altre cause, e così all’infinito. Secondo la concezione degli Israeliti, la causa di tutte le cause è in definitiva sempre la Volontà di Dio, il Creatore del mondo. Il filosofo, nelle sue riflessioni, esamina la lunga e complessa catena delle varie cause, mentre la persona comune salta immediatamente dall’effetto ultimo alla causa prima, e attribuisce quest’ultima a Dio. La Torah, che si serve del semplice linguaggio umano, si esprime proprio secondo questo uso. Si può quindi affermare che espressioni come “Io indurirò il suo cuore” e “Il suo cuore sarà indurito” (vedi Esodo 7,13) sono essenzialmente identiche nel significato.

C’è poi un altro punto su cui bisogna riflettere. Il peccato commesso dal Faraone fu quello di imporre una dura schiavitù agli Israeliti, e di decretare lo sterminio dei loro neonati maschi; furono queste azioni malvagie a fargli meritare la punizione, non la durezza del suo cuore. Se il Faraone avesse soddisfatto subito le richieste di Mosè e Aronne, allora non gli sarebbe stata inflitta alcuna sofferenza, e ciò non sarebbe stato giusto. Il cuore duro era perciò soltanto un mezzo per fare in modo che il Faraone potesse subire il castigo delle piaghe (una punizione che egli meritava a causa dei suoi peccati) e per mostrare al mondo l’esistenza di una legge morale e di un Giudice che esamina le azioni di ogni essere umano. In nessuna occasione il testo della Torah dichiara che il Faraone fu punito per la sua ostinazione, e neppure che tale intransigenza gli fosse imputata come una colpa. Un caso simile che ci permette di fare ulteriore chiarezza lo troviamo in un passo del Deuteronomio: “E Sihon, re di Heshbon, non volle lasciarci passare nel suo territorio, perché Hashem, il tuo Dio, gli aveva indurito lo spirito e reso ostinato il cuore, per farlo cadere nelle tue mani” (Deut. 2,30),  – וְלֹ֣א אָבָ֗ה סִיחֹן֙ מֶ֣לֶךְ חֶשְׁבּ֔וֹן הַעֲבִרֵ֖נוּ בּ֑וֹ כִּֽי־הִקְשָׁה֩ יְהוָ֨ה אֱלֹהֶ֜יךָ אֶת־רוּח֗וֹ וְאִמֵּץ֙ אֶת־לְבָב֔וֹ לְמַ֛עַן תִּתּ֥וֹ בְיָדְךָ֖ כַּיּ֥וֹם הַזֶּֽה Qui, come è facile comprendere, il peccato di Sihon non è la sua ostinazione nel difendere il proprio dominio; questa è infatti solo un mezzo di cui Dio si serve per punire l’iniquità del re e del suo popolo.

Viceversa, lo stesso lettore, leggendo la preghiera del salmo 50,12 – “O Dio, crea in me un cuore puro” – אִם־אֶ֭רְעַב לֹא־אֹ֣מַר לָ֑ךְ כִּי־לִ֥י תֵ֝בֵ֗ל וּמְלֹאָֽהּ potrebbe pensare che il salmista stesse chiedendo di avere dei sentimenti puri. La parola lev è troppo importante per lasciarla agli equivoci.  Per giungere ad una comprensione, che sia dedotta con metodo analitico, del significato complessivo di lev-cuore, è necessario prima di tutto individuare quale rilevanza la Bibbia gli attribuisce.

Particolarmente interessante è il racconto della morte di Nabal, così come è riferita in 1Sam 25,37.38: “Avvenne la mattina, quando il vino era stato smaltito da Nabal, che sua moglie gli riferì queste cose. E il suo( lev-cuore) divenne morto dentro di lui, ed egli stesso divenne come una pietra. Dopo ciò passarono circa dieci giorni e quindi eloim colpì Nabal, così che morì” –וַיְהִ֣י בַבֹּ֗קֶר בְּצֵ֤את הַיַּ֙יִן֙ מִנָּבָ֔ל וַתַּגֶּד־ל֣וֹ אִשְׁתּ֔וֹ אֶת־הַדְּבָרִ֖ים הָאֵ֑לֶּה וַיָּ֤מָת לִבּוֹ֙ בְּקִרְבּ֔וֹ וְה֖וּא הָיָ֥ה לְאָֽבֶן

Le affermazioni che s’incontrano qui lasciano sconcertato il lettore occidentale. Stando a quanto è detto all’inizio, sembrerebbe logico pensare che una volta che il cuore si sia fermato, con la sua rigidità sia sopraggiunta la morte. Ma, al contrario, si viene colti di sorpresa essendo informato che Nabal è sopravvissuto ancora per dieci giorni prima di morire. In pratica, il (lev-cuore) di Nabal muore dieci giorni prima di Nabal.

È più che evidente – data la schiettezza del racconto – che qui non si ha in mente l’arresto del cuore nel senso della medicina moderna: in questo caso la morte immediata sarebbe una conseguenza inevitabile. Nella Bibbia, invece, non ci sono tracce che facciano pensare ad una connessione delle pulsazioni cardiache con il lev-cuore. Piuttosto è detto che Nabal “divenne come una pietra”.  L’antico scrittore vedeva dunque nel cuore l’organo centrale che presiedeva alla capacità motrice del corpo. Al battito del cuore non si dà quindi molta importanza. Del resto, nell’antica anatomia ebraica sono poco conosciuti il cervello, i nervi e i polmoni. Nella nostra attuale anatomia il lev-cuore corrisponde – stando alle funzioni che gli vengono attribuite – ad alcune parti ben definite del cervello.   Resta da aggiungere, come abbiamo visto, che già 1Sam 25,37 colloca il lev-cuore nel petto, non nella testa.

Ancora più preciso è Os 13,8 quando annuncia la minaccia di Dio a Israele: “lacererò l’involucro del loro cuore”  אֶפְגְּשֵׁם֙ כְּדֹ֣ב שַׁכּ֔וּל וְאֶקְרַ֖ע סְג֣וֹר לִבָּ֑ם וְאֹכְלֵ֥ם שָׁם֙ כְּלָבִ֔יא חַיַּ֥ת הַשָּׂדֶ֖ה תְּבַקְּעֵֽם  L’”involucro” significa di certo la scatola toracica che racchiude il cuore. In maniera poi inequivocabile 2Re 9,24 circoscrive il posto anatomico del cuore quando la freccia di Ieu colpì “Ieoram fra le braccia, così che la freccia gli trapassò il cuore” . Talora “cuore” è usato anche al posto di “petto”, come quando si dice che Aaronne porta il “pettorale del giudizio sopra il suo lev”. (Es 28,29). Dunque per la Torah, il cuore abbraccia anche l’intelligenza: “Il cuore intelligente cerca la conoscenza” ( Proverbi 15,14),  – לֵ֣ב נָ֭בוֹן יְבַקֶּשׁ־דָּ֑עַת ופני וּפִ֥י כְ֝סִילִ֗ים יִרְעֶ֥ה אִוֶּֽלֶת  tant’è vero che si usa l’espressione “pensare in cuor suo”, e “rubare il cuore” significa “ingannare o far perdere la testa”.

Il volto morale del lev biblico comprende anche la positività. L’augurio che il Salmista rivolge al re ebraico è questo: “ti conceda il Signore quanto anela il tuo cuore, faccia riuscire ogni tuo progetto!” (Salmo 20,5). Già a Davide il profeta Natan auspicava: “va’ e fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te!” (2Samuele 7,3). Si passa, così, alla dimensione religiosa del cuore. Salomone, alla vigilia della sua intronizzazione chiede a Dio letteralmente “un cuore d’ascolto, perché sappia rendere giustizia al popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9),  – וְנָתַתָּ֨ לְעַבְדְּךָ֜ לֵ֤ב שֹׁמֵ֙עַ֙ לִשְׁפֹּ֣ט אֶֽת־עַמְּךָ֔ לְהָבִ֖ין בֵּֽין־ט֣וֹב לְרָ֑ע כִּ֣י מִ֤י יוּכַל֙ לִשְׁפֹּ֔ט אֶת־עַמְּךָ֥ הַכָּבֵ֖ד הַזֶּֽה  È il cuore docile alla legge del Signore e alla sua parola, come si esige da ogni fedele autentico: “Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore (leb), con tutta l’anima e tutte le forze” (Deuteronomio 6,4-5; Matteo 22,36-37) –  שְׁמַ֖ע יִשְׂרָאֵ֑ל יְהוָ֥ה אֱלֹהֵ֖ינוּ יְהוָ֥ה ׀ אֶחָֽד

Ma il vertice del profillo teologico del simbolo è nel profeta Ezechiele che annuncia la grazia divina di un cuore aperto al bene e non “impietrito” nelle scelte perverse: “Io darò loro un altro cuore… Toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne” (11,19),  –   וְנָתַתִּ֤י לָהֶם֙ לֵ֣ב אֶחָ֔ד וְר֥וּחַ חֲדָשָׁ֖ה אֶתֵּ֣ן בְּקִרְבְּכֶ֑ם וַהֲסִ֨רֹתִ֜י לֵ֤ב הָאֶ֙בֶן֙ מִבְּשָׂרָ֔ם וְנָתַתִּ֥י לָהֶ֖ם לֵ֥ב בָּשָֽׂר  Il cuore è, dunque, sinonimo di coscienza, è l’anima dell’esistenza, la sorgente dell’amore e del peccato, della razionalità e del sentimento. Dunque possiamo affermare che anche per la Bibbia, Dio ha un cuore paterno che ha manifestato in pienezza in Gesù di Nazaret. Lo attesta un profeta padre come Osea che mette in bocca a Dio questa confessione: “Come potrei abbandonarti, Israele?… Il mio cuore si commuove dentro di me, le mie viscere fremono di passione”(11,8),- חֶ֖רֶב יְרֵאתֶ֑ם וְחֶ֙רֶב֙ אָבִ֣יא עֲלֵיכֶ֔ם נְאֻ֖ם אֲדֹנָ֥י יְהוִֽה  

Il cuore (قلب) nella tradizione islamica

Nelle descrizioni dell’esperienza mistica musulmana e delle relative riflessioni dottrinali, il cuore (قلب) occupa un posto importante. Invece di presentare un elenco di testi disparati dal punto di vista storico e teologico, propongo di considerare il “linguaggio del cuore” secondo un testimone importante della esegesi mistica del Corano: l’Imam Ga’ far Sadiq.

L’Imam Ga’ far ha composto il suo commentario del Corano verso la fine del primo secolo, dopo la morte del Profeta dell’Islam. I frammenti che ne sono pervenuti fino ai nostri giorni hanno un interesse singolare per il linguaggio tecnico del sufismo: essi formano la prima raccolta  di testi che interpretano i dati coranici in funzione dell’esperienza religiosa. In questa interpretazione, l’esegesi letterale dà il posto alla esegesi allegorica. Con una arditezza, talvolta sorprendente, Ga’ far legge un significato mistico nelle descrizioni di realtà terrestri e di eventi storici.

Nel suo uso della parola (قلب), “cuore”, Ga’ far, segue le linee già tracciate nel Corano. Perciò sarà utile cominciare, indicando brevemente alcune particolarità dell’uso coranico della parola. Il Libro sacro, insegna che il cuore è stato creato da Dio (cf. 33,4). La sua presenza nell’interno del corpo umano (2, 93; 22.46) si manifesta nel suo battito, specialmente in situazioni di estrema paura (79, 8; cf. 23, 60; 40,18; 33, 10). Quasi sempre, però, il cuore viene usato, nel Corano, in senso metaforico. Nel pensiero semitico il cuore è la sede delle emozioni e delle facoltà interiori dell’uomo. Ciò che è specialmente messo in rilievo nel Corano è la funzione del cuore come luogo di incontro fra il Dio Rivelatore e l’uomo. Così si dice dell’esperienza di Maometto: “Questa è la rivelazione del Signore dei Mondi; la portò lo Spirito Fedele, sul tuo cuore, perché tu fossi uno che avverte” (26, 192-194).

 Il Messaggio predicato si dirige anch’esso al cuore di colui che ascolta: “Certo, in questo vi è un ricordo  per chi ha un cuore, chi presta ascolto e vede” (50, 37). La strada della parola verso il cuore corrisponde a una concezione precisa della psicologia religiosa. La parola della predicazione interpreta un fatto storico o una realtà fenomenale che in primo luogo si presenta all’uomo come qualcosa che egli può osservare. Il significato religioso di questa realtà è comunicato all’uomo in una parola che egli può sentire. Per questa interpretazione autoritativa, la realtà storica e fenomenale diventa “segno” della realtà di Allah (الله): la verità del segno, il suo significato, viene accettato dal cuore nell’atto della fede.

Questa triade di ascolto-vista-cuore diventerà un leit-motiv, nelle descrizioni coraniche dell’atteggiamento umano rispetto alla rivelazione, e si incontra anche quando questo atteggiamento rappresenta il rifiuto della non-fede: “Non lo vedi? Colui che ha preso la propria passione come suo dio, Dio l’ha traviato nella scienza: Egli ha posto un sigillo sul suo ascoltare e sul suo cuore, e ha steso un velo sul suo viso”.

Sigillare” le orecchie ed il cuore significa evidentemente un atto che ha come effetto che queste facoltà ricettive dell’uomo diventino impermeabili alla rivelazione. Spesso si trova nel Corano un riferimento al cuore “sigillato” per spiegare l’incredulità degli ascoltatori alla predicazione. In altre metafore, il Corano parla di “stendere un velo sul cuore” (18, 57; 41, 5; 17, 46; 6, 25), o della “durezza del cuore” (39, 22; 6, 43; 2,74 ecc). Nello stesso senso viene anche usata nel Corano l’espressione biblica del “cuore incirconciso” (2,88; 4,155)11. Il risultato della “impermeabilità” del cuore dinanzi alla rivelazione è che l’uomo non percepisce la verità del segno. Questa cecità del cuore (22,46), persiste perfino quando Dio “fa entrare [la rivelazione] nel cuore degli empi” (26,200; 15,12). Si tratta qui di uno stato misterioso del cuore umano, che fa si che “i cuori di coloro che non credono si contraggono quando Dio è menzionato” (39,45).

Molto differente è la situazione di coloro che hanno, come Abramo, “un cuore sano”. Un tale cuore “è tranquillo nella fede” (16, 106), “nel ricordo di Dio” (13, 28), nell’annunzio della “buona novella” (8, 10; 3, 126) e nei vari interventi di Dio (2,260; 48,4; 5, 113). I loro cuori sono formati e preparati da Dio (67,23; 32,9; 23,78; 16,78; 46,26). È lui che conforta i cuori (18, 14; 28, 10; 8, 11), come Egli ha dato la Sua rivelazione a Maometto “per confermare con essa il suo cuore” (25,32; 11,120). Di coloro che credono dice il Corano che “Dio ha iscritto nei loro cuori la fede” (58, 22; cf. 49, 7) e Dio continua a guidare i loro cuori (64, 11). Perciò essi pregano: “O Signore nostro, non far deviare i nostri cuori dopo che li hai guidati” (3,8). Queste indicazioni possono essere sufficienti per dimostrare come, per il Corano, la relazione fra Dio e l’uomo si concentri nei cuore, il quale è sempre aperto a Dio, lì dove egli opera la fede e l’incredulità, e dove il credente rimane presente a Dio nel “ricordo” di Lui. Il cuore, dove si nasconde la verità dell’uomo, è anche il luogo dove si rivela all’uomo la verità di Dio. Così il cuore è, nella rappresentazione del Corano, l’organo della fede e della conoscenza di Dio. Così possiamo trovare un anello di congiunzione che lega le fedi abramitiche (Ebrei, Cristiani e Musulmani), al cuore, e che il Cristianesimo nella sua tradizione di fede ripropone per meglio adorare e glorificare Dio per il suoi innumerevoli doni.

Santa Margherita Maria Alacoque e il culto al “Sacro Cuore di Gesù”

Margherita Maria Alacoque, proclamata santa il 13 maggio 1920 da papa Benedetto XV, ubbidì all’appello divino fatto attraverso le visioni e divenne l’apostola di una devozione che doveva trasportare all’adorazione dei fedeli al Cuore divino, fonte e focolaio di tutti i sentimenti che Dio ci ha testimoniati e di tutti i favori che ci ha concessi. Le prime due celebrazioni in onore del Sacro Cuore, presente la santa mistica, si ebbero nell’ambito del Noviziato di Paray il 20 luglio 1685 e poi il 21 giugno 1686, a cui partecipò tutta la Comunità delle Visitandine. A partire da quella data, il movimento non si sarebbe più fermato, nonostante tutte le avversità che si presentarono specie nel XVIII secolo circa l’oggetto di questo culto.

Nel 1765 la Sacra Congregazione dei Riti affermò essere il cuore di carne simbolo dell’amore; allora i giansenisti intesero ciò come un atto di idolatria, ritenendo essere possibile un culto solo al cuore non reale ma metaforico. Papa Pio VI (1775-1799) nella bolla “Auctorem fidei”, confermava l’espressione della Congregazione notando che si adora il cuore “inseparabilmente unito con la Persona del Verbo”. Il 6 febbraio 1765 papa Clemente XIII (1758-1769) accordò alla Polonia e all’Arciconfraternita romana del Sacro Cuore la festa del Sacro Cuore di Gesù; nel pensiero del papa questa nuova festa doveva diffondere nella Chiesa, i passi principali del messaggio di Santa Margherita, la quale era stata lo strumento privilegiato della diffusione di un culto, che era sempre esistito nella Chiesa sotto diverse forme, ma dandogli tuttavia un nuovo orientamento. Con lei non sarebbe più stata soltanto una amorosa contemplazione e un’adorazione di quel “Cuore che ha tanto amato”, ma anche una riparazione per le offese e ingratitudini ricevute, tramite il perfezionamento delle nostre esistenze. Diceva la santa che “l’amore rende le anime conformi”, cioè il Signore vuole ispirare nelle anime un amore generoso che, rispondendo al suo, li assimili interiormente al divino modello.

Le visioni e i messaggi ricevuti da Santa Maria Alacoque

Le visioni e i messaggi ricevuti da santa Margherita Maria Alacoque furono e resteranno per sempre un picco spirituale, dove viene ricordato al mondo, l’amore appassionato di Gesù per gli uomini e dove viene chiesta a loro una risposta d’amore, di fronte al “Cuore che si è consumato per essi”. La devozione al Sacro Cuore trionfò nel XIX secolo e il convento di Paray-le-Monial divenne meta di continui pellegrinaggi; nel 1856 con papa Pio IX la festa del Sacro Cuore divenne universale per tutta la Chiesa Cattolica. Sull’onda della devozione che ormai coinvolgeva tutto il mondo cattolico, sorsero dappertutto cappelle, oratori, chiese, basiliche e santuari dedicati al Sacro Cuore di Gesù. Proliferarono quadri e stampe raffiguranti il Sacro Cuore fiammeggiante, quasi sempre posto sul petto di Gesù che lo indica agli uomini; si organizzò la pia pratica del primo venerdì del mese, i cui partecipanti portano uno scapolare con la raffigurazione del Cuore; si composero le meravigliose “Litanie del Sacro Cuore”; si dedicò il mese di giugno al suo culto.

Affinché il culto del Cuore di Gesù, iniziato nella vita mistica delle anime, esca e penetri nella vita sociale dei popoli, iniziò, su esortazione di papa Pio IX del 1876, tutto un movimento di “Atti di consacrazione al Cuore di Gesù”, a partire dalla famiglia a quella di intere Nazioni ad opera di Conferenze Episcopali, ma anche di illuminati e devoti governanti; cito per tutti il presidente dell’Ecuador, Gabriel Garcia Moreno (1821-1875).

Fu tanto il fervore, che per tutto l’Ottocento e primi decenni del Novecento, fu dedicato al culto del Sacro Cuore, che di riflesso sorsero numerose congregazioni religiose, sia maschili che femminili, tra le principali vi sono:  la Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore” fondata nel 1874 dal beato Leone Dehon (Dehoniani); i Figli del Sacro Cuore di Gesù o Missioni africane di Verona, congregazione fondata nel 1867 da san Daniele Comboni (Comboniani);  le Dame del Sacro Cuore fondate nel 1800 da santa Maddalena Sofia Barat;  le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù fondate nel 1865 dalla beata Caterina Volpicelli; e diversi Istituti femminili portano la stessa denominazione.

Attualmente la festa del Sacro Cuore di Gesù viene celebrata il venerdì dopo la solennità del Corpus Domini, visto che detta ricorrenza è stata spostata alla domenica; il sabato che segue è dedicato al Cuore Immacolato di Maria, quale segno di comune devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, inscindibili per il grande amore donato all’umanità.

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.

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