La solennità del Corpus Domini è inseparabile dalla Messa in Coena Domini, nella quale celebriamo solennemente l’istituzione dell’Eucaristia. Mentre nella sera del Giovedì Santo si rivive il mistero di Cristo che si offre a noi nel pane spezzato e nel vino versato, oggi, questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio, e il Santissimo Sacramento (Gesù realmente presente nelle specie Eucaristiche), viene portato in processione per le vie delle città, dei quartieri, delle borgate e dei paesi, per manifestare che Cristo risorto cammina in mezzo al suo popolo e ci guida verso la nuova Gerusalemme. Quello che Gesù ha donato nell’intimità del Cenacolo, oggi lo manifestiamo apertamente, perché l’amore del Signore, non è riservato ad alcuni, ma è destinato a tutti: “e verranno da occidente e da oriente e siederanno a tavola, al banchetto del Regno di Dio” (Isaia 59,19).

Nella lettura evangelica che la liturgia odierna offre, possiamo intravedere in filigrana, sullo sfondo dell’ultima cena di Gesù, il  grande evento dell’alleanza stipulata tra Dio e Mosè sul Sinai. Nel colloquio tra Dio e Israele viene compiuto un rito solennemente descritto dal capitolo 24 dell’Esodo: il sangue è il simbolo della vita, l’altare è il segno della presenza di Dio e gli israeliti sono attorno all’altare come un’unica comunità spirituale. Un patto di sangue lega ormai Dio e il popolo in una relazione di intinità e di amore. E’ proprio a queste parole che Gesù rimanda nell’ultima sera della sua vita terrena, quando insieme ai discepoli celebra la pesach ebraica (פסח). Ma proprio in quella sera accade l’inimmaginabile. Il Signore, offre all’improvviso un significato sorprendente ed inedito. La benedizione del pane diventa: “prendete, questo è il mio corpo”, che nel linguaggio ebraico significa “questo sono io stesso”. Spezzando quel pane e offrendolo ai discepoli, Cristo stabiliva un legame di comunione profonda facendo sì che essi entrassero nella sua stessa vita, nella sua morte e nella gloria.

Nel rito giudaico alla consumazione del pane azzimo e dell’agnello pasquale seguiva la benedizione solenne del calice che spesso veniva ornato con fiori. Anche a questo punto il Signore imprime al rituale una svolta con le parole del suo “ringraziamento”: “questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”. Qui ritroviamo le parole di Mosè sul monte Sinai: il vino della Pasqua è ora sangue di Cristo e il sangue di Cristo crea l’alleanza piena e perfetta tra Dio e l’uomo. Da questo momento in poi, non sarà più il sangue di un animale il segno dell’alleanza con Dio, ma per sempre, il sangue del Figlio unigenito, diventerà il sigillo perenne di un amore che non potrà mai più essere spezzato o rinegoziato.

In definitiva nell’ultima cena, Gesù anticipa l’evento del Calvario. Egli accetta per amore tutta la passione, con il suo travaglio e la sua violenza, fino alla morte di croce; accogliendola in questo modo la trasforma in “atto di donazione” che non conosce eugali nella storia. Questa è la trasformazione di cui il mondo ha più bisogno, perché lo redime dall’interno, lo apre alle dimensioni del Regno dei cieli e delle promesse di Dio. Il rinnovamento del mondo, il Creatore vuole realizzarlo sempre attraverso la stessa via seguita da Cristo, quella via, anzi, che è Lui stesso. Non c’è nulla di magico, di esoterico o di occulto nel Cristianesimo. Non ci sono scorciatoie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita. Non possiamo dimenticare i tanti cristiani che nel mondo muoiono a causa della fede, ma soprattutto in questa giornata brilla nella vita della Chiesa, l’esempio del Beato Pino Puglisi, sacerdote palermitano, innamorato dell’Eucaristia che trasformava nella carità e nell’impegno concreto il significato più profondo della Messa: “sacrificarsi” e “metamorfizzarsi”, non con parole vuote e senza significato, ma diventando “Eucharistomen” per la salvezza del mondo.

Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento primordiale e archetipo. Mediante il pane e il vino consacrati, in cui è realmente presente il Corpo e Sangue, Cristo trasforma noi, assimilandoci a Lui: ci coinvolge nell’opera della redenzione, rendendoci capaci, per la grazia dello Spirito Santo, di vivere secondo la sua stessa logica di donazione. Così si seminano e vanno maturando nei solchi della storia l’unità e la pace, che sono il fine a cui tendiamo, secondo il disegno di Dio.

Senza illusioni, senza utopie ideologiche, siamo chiamati a percorrere le strade del mondo, portando dentro di noi il Corpo del Signore, come la Vergine Maria, quando “in fretta” si mise in viaggio per andare a visitare la cugina Elisabetta. Con umiltà, custodiamo la ferma certezza che l’amore di Dio, incarnato in Gesù, è più forte del male, della violenza, della guerra e della morte. Sappiamo che Dio prepara per tutti gli uomini “cieli nuovi e terra nuova”, in cui regnano la verità e la giustizia, e dove il male verrà definitivamente sconfitto.

Eleviamo al Datore di ogni dono perfetto, la nostra preghiera e il nostro ringraziamento con le parole dell’inno che chiude la cena pasquale ebraica:

גם אם הפה שלנו היה מלא מזמורים כמו הים מלא מים, הלשון שלנו של שירים כמו הגלים שלה הם רבים, השפתיים שלנו של שבח כפי מורחב הוא הרקיע, העיניים שלנו בהיר כמו השמש והירח, זרועותינו התפשטו כמו כנפי נשרי השמים ורגלינו מהר כמו אלה של הצבי, לא יכולנו להודות לך, הו אלוהים אלוהינו, וברך את שמך, מלכנו, על אחד מאלף מירידות ההטבות, הפלאים והנפלאות שעשית למעננו ולמען אבותינו לאורך ההיסטוריה. על כן, המברה שחילקת לנו, הנשימה והנשימה שנשפת בנו, הלשון שהנחת בפיך, תודה לך, ברך, שבח לך, רומם אותך ושרה את שמך לנצח

“Anche se la nostra bocca fosse piena di inni come il mare è pieno d’acqua, la nostra lingua di canti come sono numerose le sue onde, le nostre labbra di lodi come esteso è il firmamenti, i nostri occhi luminosi come il sole e la luna, le nostre braccia estese come le ali delle aquile del cielo e i nostri piedi veloci come quelli dei cervi, non potremmo ringraziarti, o Signore Dio nostro, e benedire il tuo nome, o nostro Re, per un solo delle mille migliaia di miriadi di benefici, di prodigi e di meraviglie che tu hai compiuto per noi e per i nostri padri lungo la storia. Perciò le membra che tu hai distribuito i noi, l’alito e il respiro che hai soffiato in noi, la lingua che tu ci hai posto in bocca ti ringrazino, ti benedicano, ti lodino, ti esaltino e cantino il tuo nome per sempre!”.

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.

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