San Giovanni XXIII l’undici Aprile del 1963 promulgò un’Enciclica (fondata su dei punti cardini come: la pace, la giustizia e la libertà) rivolta a tutti gli uomini di buona volontà. Papa Roncalli volle scrivere questa enciclica in un momento in cui si ebbe un aumento dei conflitti internazionali  con lo scopo di orientare e guidare l’umanità verso sentimenti di pace.

La “Pacem in terris”, da tanti considerata come un testamento spirituale del Papa Buono, ha posto in essere un coinvolgimento plurimo in quanto è stata rivolta non solo a vescovi, sacerdoti, suore ma anche a tutti i cristiani che vennero definiti come “uomini di buona volontà”.  È un’enciclica che si colloca in un periodo storico segnato dalla fine del colonialismo politico e dalla crisi di Cuba. Infatti Papa Roncalli volle fortemente scriverla con l’obbiettivo di invitare i cristiani ad accogliere la fede come uno strumento concreto per favorire una maturazione della società che era fortemente basata sulla conflittualità

Come citato prima, una delle motivazioni che indusse Giovanni XXIII a scrivere l’enciclica fu proprio la crisi di Cuba che si ebbe nel momento in cui gli statunitensi volevano avviare una guerra di fronte al dispiegamento dei missili sovietici a Cuba. In quel contesto il Papa intervenne per risolvere il conflitto che portava ad una grave crisi. Tuttavia il Santo Padre volle ripensare il problema della pace nel mondo.

Attraverso questa Enciclica si volle dare importanza al termine “pace” che si fonda – secondo questa lettera apostolica – su quattro pilastri come verità, giustizia, solidarietà e libertà. La “Pacem in terris” aiuta a comprendere che cosa è la pace; la pace, infatti, non è solo il tacere delle armi ma si fonda sui quattro pilastri già menzionati. La verità è un elemento essenziale per favorire la pace, in quanto non può coesistere pace se non si ricorre al senso della verità che ci fa addentrare nella realtà delle cose. La giustizia viene intesa come un dovere valoriale e viene tradotta nel  rispetto del diritto e nell’adempimento ai doveri che ogni uomo ha. La solidarietà è intesa come un valore attraverso cui si deve avere un atteggiamento benevolo riconnesso ad un forte senso di bene comune. In fine la libertà che coincide con la non violenza ed è la scelta più autenticamente umana, perché riconosce le ragioni di chi le ha, anche dei più deboli, e quindi orienta veramente verso la pace.

All’interno dell’enciclica viene data rilevanza al bene comune. Alle autorità viene raccomandato (da Giovanni XXIII) l’impegno di garantire ed assicurare la piena attuazione del bene comune che si concretizza – sulla base della Pacem in Terris – attraverso la vera armonia fra ordinamento giuridico e ordine morale; un bene comune che deve essere inteso in maniera collettiva. Non a caso si ha la visione del bene comune mondiale (proprio nel 1963 ci si trovava immersi nella globalizzazione), ed un passo specifico dell’enciclica specifica: «per formare una comunità globale in funzione dell’attuazione del Bene comune universale» (66).

In fine lo specifico richiamo alla pace ha ricevuto tanti consensi nella popolazione, ma realmente fu difficile da applicare in quanto c’erano i comportamenti delle nazioni che escludevano (per loro interessi e potere) la pace. Ma è certo che nell’enciclica la diffusione e la costruzione di una cultura della pace non viene concepita solo come l’assenza di guerre, ma soprattutto come un graduale processo spirituale e politico che sii in grado creare cooperazione e solidarietà. Il nuovo ordine mondiale (inteso dal Papa Buono) doveva essere fondato sui «valori di verità, giustizia, solidarietà e libertà».

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Di Catalin Dioguardi

Dottore in Giurisprudenza. Tutor presso la Lumsa Università, catechista e volontario in diverse associazioni.

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