La recente e disastrosa eliminazione della Nazionale di calcio italiana dai prossimi Mondiali di calcio, oltre all’amarezza, lascia irrisolte alcune domande che il mondo del pallore farebbe bene a prendere in seria considerazione.

Che Roberto Mancini lasci o meno la prestigiosa e scomoda panchina, probabilmente non cambierà l’attuale stato delle cose. Se in un recente passato, infatti, il commissario tecnico della Nazionale aveva l’imbarazzo di scegliere tra i convocati veri e propri gladiatori del calcio, del calibro di Baggio, Del Piero, Totti, Maldini, Vialli ecc. oggi purtroppo non è più così, poiché – a modesto parer nostro – la presenza di giocatori stranieri nelle squadre di club è decisamente superiore a quella dei giocatori nostrani, dettaglio, questo, che non permette al calcio italiano di veder crescere una possibile rosa di giocatori da convocare in Nazionale.

Un secondo problema è quello dei compensi economici concessi ai giocatori, smisuratamente alti e diseducativi per chi intraprende questa carriera, dove l’immagine del giocatore vincente e pieno di soldi supera il sogno di divertire e di divertirsi!

«Il Brasile mangia, dorme e beve calcio. Vive di calcio», diceva il più grande tra i calciatori del mondo, Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé. Ma forse erano altri tempi, si giocava in spiaggia con un pallone di pezza (talvolta un calzino o degli stracci riempiti con carta e legati con un laccio) e le azioni più belle nascevano nel cuore prima di essere partorite in campo! Non era il look a fare di te un campione, e se lo diventavi davvero le folle ti amavano perché insieme a te inseguivano il sogno della vittoria. Ancora Pelé diceva che «il football è musica, danza e armonia. E non c’è niente di più allegro della sfera che rimbalza», e ancora: «Non c’è niente di più triste di un pallone sgonfio…».

Perché – come ci sembra di capire – ad essere un po’ troppo “sgonfi” sono i giocatori? Forse perché non si allenano più sulle spiagge, dove i sogni una volta diventavano realtà, e preferiscono giocare in borsa!

Vedere la Nazionale di calcio italiana colare a picco è un’immagine che rattrista e che il calcio di oggi non può permettersi.

«Gli uomini – afferma un inedito Joseph Ratzinger negli anni ’80 a proposito di calcio – si identificano con il gioco e con i giocatori, e partecipano quindi personalmente all’affiatamento e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i giocatori diventano un simbolo della propria vita; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Naturalmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gioco da gioco a industria, e crea un mondo fittizio di dimensioni spaventose». Mentre Giovanni Paolo II diceva che «lo sport vuol dire non solo forza fisica e grossi muscoli, ma è qualcosa che ha anche un’anima».

Forse è proprio quest’anima che è stata smarrita e che pochi si preoccupano di ritrovare. «Il pallone – recita un antico adagio trapattoniano – è una bella cosa, ma non va dimenticata una cosa: è gonfio d’aria».

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Foto: Figc.it

Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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