Il testo di riferimento che ci accompagnerà lungo questa catechesi è Esodo (32,1-8); quindi la prima cosa da fare è leggere attentamente il brano biblico. Il contesto nel quale ci troviamo è il deserto, il popolo si trova nel deserto e attende Mosè il quale si è allontanato salendo sul monte in attesa di ricevere istruzioni da Dio. Nel deserto non c’è vita, cibo, acqua, è un luogo dove diventa impossibile sopravvivere, la precarietà e l’insicurezza hanno il sopravvento sulle certezze e le convinzioni. Il deserto è immagine della vita umana quando si perdono i punti di riferimento e le convinzioni che lasciano spazio alla precarietà e all’ansia. Il popolo si trova ai piedi del monte e attende che Mosè faccia ritorno, ma «tardava a scendere» (Es 32,1a) e allora si innesca il bisogno preponderante di avere un altro punto di riferimento, la pazienza del popolo è stata messa a dura prova. Erano trascorsi quaranta giorni, Israele si sente smarrito e nella ricerca di sentirsi rassicurato, chiede ad Aronne un dio visibile, questo è il tranello nel quale cade il popolo per potersi identificare e orientare. «Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa!» (Es 32,1b), come dire: “Facci un capo, abbiamo bisogno di un nuovo leader”.

Gli esseri umani hanno bisogno di certezze, perché quell’inquietudine che sentono dentro ha bisogno di essere appagata e così, come dice Papa Francesco, per sfuggire alla precarietà cercano una religione “fai-da-te”: se Dio non si fa vedere, ci facciamo un dio su misura. Ma cos’è un idolo? L’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani (cf. Lumen fidei, n. 13). La «continua tentazione del credente» – scrive Benedetto XVI – è la «seduzione dell’idolatria» che ci toglie il tempo migliore, le energie più forti, i pensieri più attenti, è il segno di una religiosità deviata e ingannevole.

Aronne come reagisce? Non trova il modo di dissuaderli, di convincerli ad aspettare il ritorno di Mosè e anzi asseconda il loro bisogno e gli ordina di portargli tutto l’oro che possedevano e così fabbrica il vitello d’oro, simbolo che esprime una devozione indirizzata a ottenere in ogni ambito potere, fama, e soddisfazione immediata.

Anche Gesù fa esperienza del deserto prima che inizi il tempo messianico (secondo i Sinottici), Lui tentato da Satana, servito dagli angeli e in compagnia delle bestie selvatiche. La tentazione che affronta Gesù e tutta la comunità dei credenti, è quella che assume la forma della scelta fondamentale, è quella che mette a nudo la nostra vulnerabilità e che ci costringe a chiederci: “Su chi fondo la mia esistenza? Chi è il signore della mia vita?”. È la domanda alla quale dobbiamo sempre dare una risposta, perché, appunto, la tentazione di scegliere altro, anche inconsapevolmente, è sempre in agguato. Sappiamo bene che anche se battezzati e credenti, non siamo certamente esonerati dalle prove della vita, è come un esame quotidiano perché le difficoltà che subentrano sono diverse, come la malattia, la perdita e qualunque altro tipo di prova, la tentazione dello scoraggiamento o della disperazione sembrano le scelte più semplici. La nostra fede nel Signore invece ci rende in grado di vivere tutto ciò in Sua compagnia, perché non siamo soli nella vita, e quell’inquietudine che sentiamo dentro ha bisogno di essere appagata da ciò che è eternamente presente e stabile. La tentazione di abbandonare la fedeltà a Dio per scegliere altro attraversa tutto il racconto della Storia Sacra, la grande fatica di Dio non è stata tanto quella di liberare il popolo dall’Egitto, lo ha fatto con segni e prodigi, quanto piuttosto togliere l’Egitto dal cuore del popolo. Questo continuo lavorio, lo Spirito continua a operarlo in ciascuno di noi per togliere dai nostri cuori ciò che Dio non è. Ci aiuta nel cammino fare Memoria per celebrare le azioni di Dio nella nostra vita aprendoci alla gratitudine: comincia così un percorso di liberazione.

Non sottovalutiamo la nostra unicità la quale sta nell’essere amati personalmente da Dio come se per Lui esistesse solamente la nostra persona. Siamo grati a Dio e agli altri e sentiamoci sempre “unici”.

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Di Maria Catena

Docente di Liturgia, scrive per Theofilos, la rivista della Scuola Teologica di Base “San Luca Evangelista” dell’Arcidiocesi di Palermo.

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