Pare che il Vangelo non offra più spunti per le riflessioni omiletiche, così, qualche sacerdote ripiega sui testi delle canzoni del Festival Sanremo, sdoganando persino il testo di Mahmood & Blanco che porta invece tutt’altro significato.

Sicuramente non aveva torto quel galantuomo di Papa BenedettoXVI quando invitava i seminaristi a studiare di più!

Tuttavia, alcuni sono contenti di questa nuova “pastorale della canzone sanremese”, e magari tra qualche giorno persino il testo di Achille Lauro (che parla esplicitamente della Domenica, dissacrandone però i contenuti) potrebbe diventare spunto per qualche catechesi. Che ci sarebbe di sbagliato? Non siamo una chiesa aperta?

Altri, invece, tolgono il disturbo (e non è certo colpa dell’emergenza pandemica di questi anni) e, come cantava Mina, esclamano con profonda e cattolica amarezza: “Non gioco più, me ne vado!”.

A proposito del sacerdote, Don Matteo Selmo, che, a Lonato del Garda, durante l’omelia ha cantato i successi dell’ultimo Festival di Sanremo, il giornalista Massimo Gramellini ha offerto sul Corriere della Sera una criteriata e condivisibile valutazione.

È, infatti, sulle motivazioni addotte da don Matteo – di aver cioè voluto citale i testi delle canzoni per avvicinarsi ai giovani – che Gramellini ritiene giusto dire qualcosa. «È la frase – scrive il giornalista – più conservatrice che si possa sentire, nel senso che mi risuona falsa nelle orecchie fin da quando “i giovani” ero io. Da Bach a Mozart, un tempo erano i musicisti che componevano per i preti, non i preti che scimmiottavano i musicisti. La Chiesa si limitava a fornire la materia prima: il senso del sacro, quello di cui i ragazzi hanno più fame, e basta affacciarsi a un qualsiasi convegno ad argomento spirituale per trovarli nelle prime file. Ma davvero qualcuno crede che lo svuotamento delle chiese dipenda dalla musica d’organo e non piuttosto dall’evanescenza di certe omelie?».


«Al di là del concertino di don Matteo – conclude Gramellini –, non so quanto sia giusta questa idea che, per piacere ai giovani, si debba fare qualcosa che i giovani fanno meglio degli adulti, anziché qualcosa che loro non sanno fare e si aspettano proprio dagli adulti».

Sicuramente don Matteo Selmo sarà un ottimo sacerdote, ma, a proposito degli orientamenti catechetici da seguire con i giovani, che trattino il “senso del sacro, quello di cui i ragazzi hanno più fame”, la riflessione proposta dal giornalista Massimo Gramellini risulta certamente molto più efficace!

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Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

2 pensiero su “Al sacerdote che canta Sanremo durante l’omelia, Gramellini suggerisce il “senso del sacro, quello di cui i ragazzi hanno più fame””
  1. Non è questione di rendere più appetibile una Celebrazione. D’altra parte si sa che a un’età giovanile qualsiasi ritualità può risultare pesante. Si tratta di contenuti e i contenuti che la Chiesa deve offrire a tutti sono il vangelo e solo il vangelo. Esso è talmente aperto, talmente pieno di compassione, talmente intrigante da irrorare di linfa umana, spirituale e culturale generazioni da secoli. Per nulla invecchiato, il vangelo può ritrovarsi anche in una discussione non consacrata da un segno di Croce. Così francamente da prete quale sono lo ritrovo più in quel caffè di Gramellini su don Parade che nell’omelia canterina di quest’ultimo. Sarà che non dono più giovanissimo, però a dire il vero a 50 anni con i giovani ci sto parecchio, magari cantando le stesse hit ma in altro contesto…

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