L’idea del luogo comune come esclusiva sorgente di verità non può che generare, nel nostro tessuto socio-culturale, un’informazione distorta degli argomenti trattati e per certi versi persino faziosa. Eppure, oggi, nel nostro Paese – che in questo campo vanta opinionisti di “alta qualità” – il metodo più semplice per affrontare certe discussioni, senza pretendere di conoscerne davvero i principali contenuti, è quello di sproloquiare attraverso l’inaffidabile categoria del luogo comune. Ma vado subito al dunque! Nel dibattito riguardante l’Ora di religione – che in questo periodo estivo viene ripreso con pochissima accortezza culturale (sarà l’effetto del caldo!) – c’è chi grida allo scandalo, offrendo nel proprio giornale titoli altisonanti e soprattutto scorretti, insinuando – così titola “Il Fatto Quotidiano” – che “l’insegnamento della religione cattolica sta diventando un ufficio di collocamento delle diocesi”, che gli attuali docenti di religione dedicano le loro lezioni all’esclusiva conoscenza della fede cattolica escludendo le altre religioni, con la metodologia della catechesi tradizionale, accusando le diocesi “di piazzare, a pagamento dello Stato, suore laiche, preti, amici dei vescovi, adepti della diocesi”. Una girandola di considerazioni faziose contro i docenti di religione che non corrisponde alla verità dei fatti.

In realtà, l’insegnante di Religione diventa davvero scomodo nel momento in cui porge agli alunni una chiave di lettura diametralmente opposta a quella del mondo, offrendo loro i contenuti di una esperienza cristiana viva e presente nel tessuto della nostra società e capace di convertire.Come me, migliaia di insegnanti di Religione, ogni settimana (con una cattedra oraria di 18 ore per la scuola secondaria) con dignità e serietà, incontriamo (consapevoli di dover conquistare ogni giorno la loro attenzione) la media di quattrocento ragazzi che hanno scelto liberamente di avvalersi dell’Insegnamento della Religione Cattolica.Chi si diletta a criticare – con goffa incompetenza – l’operato dei docenti di religione, non si preoccupa nemmeno di consultare un testo scolastico o i programmi ministeriali, dove è assolutamente chiaro che l’insegnamento della religione riguarda anche la conoscenza delle altre religioni (politeiste e monoteiste).

Come affermava il grande scrittore siciliano, Leonardo Sciascia, «la religione come materia di studio è una pietra su cui l’intelligenza si affila. Se ne sostanzia la fede, per chi ce l’ha o la cerca. O ne vengono fuori i Voltaire, i Diderot, i grandi increduli e anticlericali».

Papa Benedetto XVI ricordava ai docenti che «grazie all’insegnamento della religione cattolica, la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro».

È questa crescita nella responsabilità che dà tanto fastidio a qualcuno?

Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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