Nel cuore di uno dei conflitti più complessi e delicati del nostro tempo, una voce si leva con determinazione e rigore giuridico per chiedere il rispetto del diritto internazionale e la tutela dei diritti umani. È quella di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967. Esperta di diritto internazionale e prima italiana a ricoprire questo incarico, Albanese ha attirato l’attenzione globale per le sue analisi puntuali, le sue denunce documentate e il coraggio di nominare la parola responsabilità che spesso la comunità internazionale preferisce ignorare.
La testimonianza di Francesca Albanese è un appello forte e chiaro alla comunità internazionale perché agisca per proteggere i diritti umani dei palestinesi e promuovere la pace nella regione. La sua esperienza e la sua conoscenza approfondita della situazione, nei Territori palestinesi occupati, offrono una prospettiva preziosa per comprendere le sfide e le opportunità che si presentano.
Le sue riflessioni ci obbligano a non distogliere lo sguardo, a rimettere al centro dell’agenda globale una crisi che riguarda tutti. Perché, come ricorda lei stessa, “i diritti umani non hanno confini, e il loro rispetto è una responsabilità collettiva”.
Abbiamo incontrato Francesca Albanese in occasione della presentazione del suo libro, a Palermo, dal titolo “Quando il mondo sta a guardare, edizioni San Paolo”.
La situazione nei Territori palestinesi occupati è una delle più dolorose e difficili. Quali sono le sfide più grandi che si è trovata a dover affrontare.
Come relatrice speciale alle Nazioni Unite mi sono ritrovata ad affrontare delle sfide importanti, alcune più note come il fatto di occuparmi di un mandato, che è l’unico dei mandati territoriali degli esperti tecnologici delle Nazioni Unite, che si concentra, traverso agli interessi occidentali, guardando le violazioni di diritto internazionale che Israele commette nel territorio palestinese occupato. Ho vissuto l’impossibilità di entrare in un territorio, la difficoltà di dover documentare in modo efficace le violazioni di diritto internazionale, legate ad un territorio, in cui mi è proibito l’accesso. Anche il fatto di lavorare senza mezzi, perché il mio è un ufficio senza budget, un ruolo di grande responsabilità e di grande prestigio, però senza budget e quindi dalle possibilità teoricamente molto limitate. L’ultima sfida è quella di trovarsi in un momento di maggiore violenza dall’inizio del mandato. Poi ci sono, oltre a queste che sono delle sfide oggettive, molte delle quali, indipendenti da chi sia io, che hanno caratterizzato anche il lavoro dei miei predecessori, come anche il fatto di trovarsi d’innanzi alle manipolazioni dell’informazione, ad accuse di supportare il terrorismo e di antisemitismo. Quello che concerne me specificamente, è che mi sono trovata ad operare all’inizio del periodo di maggiore violenza nel territorio palestinese. Occupato con l’omicidio di Shirin Abu Akhle e lo sfollamento autorizzato dalla Corte, Suprema Israeliana di 1.200 persone nell’area di Masafer Yatta e poi gli assalti nella manspianata delle moschee. Poi l’arrivo dell’ultimo governo Netanyahu e quindi pogrom, lo sdoganamento della violenza contro i palestinesi in Cisgiordania e non in ultimo il genocidio. Questi gli ostacoli che mi sono trovata a dover affrontare e non in ultimo, dover raccontare la verità in modo oggettivo, e non parziale, basandomi sul diritto internazionale. Fondamentale riuscire a tenere sempre la schiena dritta e la testa alta in mezzo alla tempesta.
Come ha percepito la reazione della comunità internazionale alle sue relazioni e raccomandazioni?
Le reazioni al mio lavoro sono il riflesso dell’ordine mondiale. Ci sono stati che mi sostengono come l’Indonesia, la Malesya e il Sud Africa, Libia, gli stati del blocco della colonizzazione e anche alcuni paesi europei come la Slovenia il Belgio la Norvegia e la Spagna. Poi ci sono quelli che mi osteggiano apertamente, come la Francia, l’Italia, gli Stati Uniti che sono gli alleati privilegiati di Israele e anche il Canada. Poi la maggior parte degli Stati supportano il mandato e il mio lavoro ma non lo dice apertamente per rispetto agli Stati Uniti.
Sul conflitto Israelo-Palestinese, qual è la sua valutazione sulla situazione attuale nei Territori palestinesi occupati?
La situazione nel territorio palestinese occupato è gravissima, non è cominciata ieri, quello che è successo alla Palestina storica, dalla creazione dello Stato di Israele e anche prima. Penso allo spossessamento, lo sfollamento forzato, la depredazione fondamentalmente dei palestinesi, la distruzione delle loro vite collettive e individuali.
La creazione di una nazione di rifugiati. Dal 67 in poi Israele è occupato militarmente della striscia di Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est fondamentalmente utilizzando l’occupazione militare come un veicolo per annettere le terre depredando i palestinesi delle loro risorse, sedandone la violenza, soffocandone ogni tentativo di liberazione. Il 7 ottobre è stato sicuramente violentissimo ma all’interno di un contesto di grande violenza strutturale, eruttiva.
La situazione in atto a Gaza è quella di un genocidio, a mezzo di atti di uccisione, di creazione di condizioni di vita calcolate per distruggere e infliggere sofferenze fisiche e psichiche, ai membri del gruppo in quanto tali. Tutti questi atti sono genocidio quando sono retti nell’intento distruttivo di un gruppo etnico religioso, nazionale o razziale, in quanto tale. Ecco che il genocidio non è un atto, ma è un processo, un atto composito, che non si sarebbe potuto commettere senza la nostra complicità, degli stati occidentali, ma anche di altri. Quindi qui ci sono le impronte digitali di tutti. La situazione non è limitata alla striscia di Gaza, perché in Cis Giordania avanza, violentemente, la polizia etnica a mezzo di sfollamenti forzati, a mezzo di uccisioni e arresti arbitrari e questa volta non sono commessi soltanto da soldati israeliane e non solo con le bombe, ma da gli stessi coloni israeliani e nella totale ’impunità di Israele.
Come pensa che possa essere raggiunto un accordo di pace duraturo tra Israele e Palestina?
Bisogna chiarire che cosa si intende per accordo di pace. Qui non bisogna immaginare un accordo di pace, di negoziato tra Israeliani e palestinesi. I palestinesi non hanno più nulla da negoziare, sono da trent’anni che negoziano. La loro negoziazione è diventata l’alibi per continuare a depredarli. Adesso bisogna soltanto imporre il rispetto del diritto internazionale, il ritorno alla legalità, fine del genocidio adesso, con un cessate il fuoco immediato, il ritorno degli ostaggi trattenuti o uccisi da Israele. Il ritorno dei diecimila palestinesi. Fine dell’occupazione militare, con il ritiro dell’esercito e fine dello sfruttamento delle risorse. Fine dell’appartaid nei confronti di tutti e tutte. Un piano difficile che non si può incrementare senza la volontà politica degli stati membri delle Nazioni Unite di tornare alla legalità, questa è la grande sfida!
Quali sono i diritti umani più violati nei Territori palestinesi occupati?
È difficile rispondere a questa domanda. I diritti umani sono assoluti, inviolabili e interconnessi. Ci sono anche dei diritti che possono essere compressi. I diritti fondamentali sono innanzitutto il diritto all’autodeterminazione, il diritto collettivo per eccellenza, il diritto di un popolo ad esistere, a determinarsi politicamente a essere libero politicamente, culturalmente, a professare la propria identità, godere delle proprie risorse naturali e decidere del proprio sviluppo. Ecco tutto questo in Palestina è impedito, o meglio quello che resta della Palestina è impedito da Israele
Quel pezzo di terra in cui i palestinesi si sono accordati ad accettare la creazione dello Stato di Palestina di fatto non è stato possibile per l’avanzamento delle colonie e per il non ritiro della presenza israeliana. Quindi la realizzazione dei diritti umani, la libertà di movimento, il diritto alla salute, la libertà dalla tortura, i diritti dell’infanzia, violati per dissuadere la presenza dei palestinesi nei territori, in modo da agevolarne lo sfollamento… Sono tutti diritti connessi ma che non si possono realizzare senza il ritiro dell’occupazione. I diritti economici, sociali, politici e civili sono chiaramente anch’essi strumento per annichilire il diritto all’autodeterminazione.
Qual è il ruolo delle Nazioni Unite nella gestione del conflitto Israelo-Palestinese?
Il ruolo dell’ONU in questo momento è fortemente in crisi, perché l’ONU non esiste senza la volontà degli stati. È la somma algebrica del voto di tutti gli stati, della presenza e del ruolo di tutti gli stati, ma anche della loro influenza. Ci sono degli stati che sono più influenti di altri, chiaramente. come gli Stati Uniti, gli Stati Occidentali, gli Stati che hanno il potere di veto. Quindi è fondamentale che si lavori all’interno di ogni Stato, come per esempio il nostro, per garantire il rispetto del diritto internazionale.
La giustizia e il rispetto del diritto, il rispetto della legalità in Palestina comincia da casa nostra, a casa nostra, dove ci si assicura, che il nostro governo rispetti i suoi obblighi costituzionali e internazionali e non violi gli impegni, gli obblighi che ha contratto, che sono quelli che poi garantiscono anche per esempio il diritto a autodeterminazione dei palestinesi. L’obbligo dell’Italia tra i vari a usare la propria influenza per prevenire o per fermare il genocidio dalla cancellazione degli accordi commerciali, la sospensione degli accordi commerciali a quelli tanto regionali di servizi di sorveglianza, tutto questo il diritto internazionale ce lo indica chiaramente, c’è una corte di giustizia internazionale che ha aperto due casi concernenti il genocidio, uno a carico di Israele, uno a carico della Germania, portati avanti uno da Sudafrica e l’altro da Nicaragua rispettivamente. Questi casi fanno sì, propongono l’obbligo di sospendere la compravendita di armi o gli aiuti militari ad Israele nel momento in cui commette crimini che possono essere di atrocità. C’è una sentenza della Corte di giustizia internazionale o meglio una decisione in opinione consultiva che comunque si passa sul diritto non derogabile che dice che l’occupazione è illegale. Quindi gli stati non possono riconoscere come legale, le conseguenze di una occupazione illegale e gli stati non devono fare nulla per appoggiare, questa azione illegale. Al contrario devono aiutare a progredire verso la sua cessazione e all’offerta di riparazione nei confronti delle vittime.
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