A Roma e in molte altre diocesi, si è tenuta la solenne processione del Corpus Domini. Questa è una ricorrenza speciale che celebra la reale presenza di Cristo, portata in processione con grande solennità da vescovi e presbiteri in ogni centro abitato con una partecipazione di fedeli che – nonostante le limitazioni civili del 1977 – non è mai venuta meno.
«Cristo – ha detto Papa Leone XIV, nell’omelia pronunciata a S. Giovanni in Laterano – è la risposta di Dio alla fame dell’uomo, perché il suo corpo è il pane della vita eterna […]. La nostra natura affamata porta il segno di un’indigenza che viene saziata dalla grazia dell’Eucaristia. Come scrive Sant’Agostino, davvero Cristo è «panis qui reficit, et non deficit; panis qui sumi potest, consumi non potest» (Sermo 130, 2): un pane che nutre e non viene meno; un pane che si può mangiare ma non si può esaurire».
A Palermo, l’arcivescovo, monsignor Corrado Lorefice, durante la celebrazione della Messa a San Domenico, ha ricordato che «nell’eucaristia si accoglie e ci accoglie il dono incommensurabile dell’amore di Dio Padre per noi uomini nel suo Figlio morto e risorto per noi, fattosi corpo-cibo per la mensa della sua fraternità. Per questo l’eucaristia è scuola di gratitudine, cattedra dove si apprende la modulazione della gratitudine. L’Eucaristia genera la coscienza di fede dell’amore di Dio che rende costitutivamente grata l’esistenza cristiana. Non a caso la forma essenziale e più alta del culto cristiano si chiama ‘eucaristia’, cioè ‘rendimento di grazie’».
Una curiosità significativa
Prima del 1977, in Italia, il Corpus Domini era una festività civile riconosciuta, celebrata il giovedì successivo alla Pentecoste. Era segnata in rosso sul calendario, al pari di altre importanti ricorrenze religiose come l’Epifania (6 gennaio), San Giuseppe (19 marzo), l’Ascensione (40 giorni dopo Pasqua) e i Santi Pietro e Paolo (29 giugno).
Nel marzo 1977, la legge n. 54 modificò radicalmente il calendario civile, abolendo il riconoscimento di queste festività religiose. Di conseguenza, la Chiesa fu costretta a spostare la celebrazione di alcune di esse alla domenica successiva, e a rimuovere il carattere di “festa di precetto” per San Giuseppe e i Santi Pietro e Paolo. La decisione del governo Andreotti fu motivata dalla presunta necessità di incrementare la produttività nazionale, considerando queste giornate festive come un ostacolo alla produttività di aziende e uffici pubblici.
Otto anni dopo, nel 1985 (D.P.R. 792/1985), l’Epifania riacquistò il suo status di festività civile a livello nazionale. I Santi Pietro e Paolo furono ripristinati come festività civile solo per il Comune di Roma. Le altre ricorrenze, tuttavia, rimasero invariate, a differenza di quanto accadde in altri Paesi europei dove tali festività religiose hanno mantenuto il loro riconoscimento civile.
Nonostante queste modifiche, in alcune parrocchie italiane è stata mantenuta la tradizione della processione eucaristica del Corpus Domini al giovedì, con la processione cittadina ufficiale che si tiene la domenica successiva.
A distanza di 45 anni, è evidente che la soppressione di queste importanti festività religiose non ha portato i benefici economici sperati per l’Italia.
Foto: Arcidiocesi di Palermo
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