La Liturgia dell’XI domenica del Tempo Ordinario, presenta tre parabole: la prima raccolta dagli scritti di Ezechiele, profeta esule a Babilonia, e altre due presentate dal Vangelo di Marco: il grano che spunta da solo e il seme di senapa. Sono storie di terra che Gesù fa diventare esperienze concrete di Dio per portare alla salvezza l’umanità. Il Messia, con parole che sanno di casa, di orto, di campo, cancella la distanza tra il Creatore e le creature. Il Signore si rivela sempre come i profeti, un predicatore affascinante e accattivante, capace di rapire i cuori e risvegliare il senso di Dio. La “terra e il Regno” sono un appello allo stupore e alla meraviglia, a un sentimento che diventa atteggiamento di vita. Gesù Cristo è all’opera, e tutto il mondo è un grembo “che attende con fiducia la piena rivelazione dell’Onnipotente nella storia”.
Possiamo anche cogliere nella Parola di Dio di oggi, una contrapposizione tra due realtà antitetiche: il “contrasto” e la “crescita”. La prima è rappresentata da un inizio microscopico, quasi invisibile: pensiamo al “granello di senapa”; “il “più piccolo di tutti i semi della terra”, secondo l’opinione popolare rabbinica: “la venuta del regno di Dio, il suo apparire, è dunque paragonato al processo agricolo che ogni contadino conosce bene, anzi che vive con attenzione e premura: semina, nascita del grano, crescita, formazione della spiga e maturazione. Di fronte a tale sviluppo, occorre meravigliarsi, guardando alla potenza, alla forza presente in quel piccolo seme secco, che sembra addirittura morto. Così è il regno di Dio: piccola realtà, ma che ha in sé una potenza misteriosa, silenziosa, irresistibile ed efficace, che si dilata senza che noi facciamo nulla. Di fronte a questa realtà, il contadino deve solo seminare, ma poi sia che lui dorma sia che si alzi di notte per controllare ciò che accade, la crescita non dipende più da lui. Anzi, se il contadino volesse misurare la crescita e andasse a verificare cosa accade al seme sotto terra, minaccerebbe fortemente la nascita e la vita del germoglio. Così si “sviluppa” il regno di Dio, atteso ed annunciato dalla Legge e dai profeti”.
ביאת מלכות ה’, הופעתה, מושווית אפוא לתהליך החקלאי שכל חקלאי מכיר היטב, אכן חי בתשומת לב ובזהירות: זריעה, לידת חיטה, צמיחה, היווצרות האוזן והבשלה. מול התפתחות זו, יש צורך להתפעל, מסתכל על הכוח, את הכוח הקיים באותו זרע יבש קטן, אשר אפילו נראה מת. כך היא מלכות האלוהים: מציאות קטנה, אך כזו שיש לה בעצמה כוח מסתורי, שקט, שאין לעמוד בפניו ואפקטיבי, שמתרחב מבלי שנעשה דבר. מול מציאות זו, החקלאי חייב רק לזרוע, אבל אז בין אם הוא ישן או קם בלילה כדי לשלוט במה שקורה, הצמיחה כבר לא תלויה בו. אכן, אם האיכר היה רוצה למדוד את הגידול והולך לבדוק מה קורה לזרע שמתחת לאדמה, הוא היה מאיים על לידתו וחיי הנבט. כך גם מלכות האלוהים, המתינו לה והוצהרו על ידי התורה ועל ידי הנביאים
La seconda realtà antitetica è lo spendore dell’esito finale: ecco la spiga piena di chicchi che si erge verso il sole, ecco la pianta di senapa che sul lago di Tiberiade può raggiungere sino a tre metri di altezza e sulla quale possono posarsi e nidificare e riposare gli uccelli. Il Regno di Dio da inizi umilissimi, si trasforma in albero gigantesco, in una realtà che fa fermentare l’intera massa del mondo e della storia e che può offrire protezione e pace.
Il contrasto di cui abbiamo accennato, regge ugualmente la parabola del cedro descritta da Ezechiele. Agli inizi c’è un ramoscello esile piantato da Dio sul monte santo e alto cioè sul monte Sion. Esso è destinato a crescere in “cedro magnifico” alla cui ombra ogni volatile potrà trovare riposo. E’ ormai l’albero messianico, segno di vita, di speranza e di futuro. Ma l’antitesi ora si sviluppa anche in un’altra direzione: “io il Signore, umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco”: è una reazione divina di fronte agli alberi orgoliosi: è l’opposizione tra potenza e povertà che si estende all’interno della storia dell’umanità. Ebbene, Dio vuole una svolta: il vero sconfitto non sarà più come purtroppo sempre si registra negli annali e nei libri di storia o nei resoconti delle guerre; il povero o l’umiliato, perché con lui si schiera Dio stesso. Qui ritroviamo l’eco delle parole che la Vergine Maria innalzò al Signore durante la visita alla cugina Elisabetta: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli uomini, a rimandato i ricchi a mani vuote a ricolmato di beni gli affamati…”.
Ed ora passiamo ad esaminare il concetto di “crescita”: l’uomo semina con la fiducia che il suo lavoro non sarà infecondo. Ciò che sostiene l’agricoltore nelle sue quotidiane fatiche è proprio la fiducia nella forza del seme e nella bontà del terreno: egli sa che l’unico a fare “crescere” il raccolto è Dio e nessun altro. Possiamo fare gli sforzi più impesnabili, possiamo rivendicare il lavoro, ma se tutto ciò non segue la logica del “seme” che cresce, tutto diventa vano: “se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori”. Questa parabola richiama il mistero della creazione e della redenzione, dell’opera feconda di Dio nella storia. E’ Lui il Signore del Regno, l’uomo è suo umile collaboratore, che contempla e gioisce dell’azione creatrice divina e ne attende con pazienza i frutti. Il raccolto finale ci fa pensare all’intervento conclusivo di Dio alla fine dei tempi, quando Egli realizzerà pienamente il suo Regno. Il tempo presente è tempo di semina, e la crescita del seme è assicurata dal Signore. Ogni cristiano, allora, sa bene di dover fare tutto quello che può, ma che il risultato finale dipende da Dio: questa consapevolezza lo sostiene nella fatica di ogni giorno, specialmente nelle situazioni difficili.
Anche la seconda parabola utilizza l’immagine della semina. Qui, però, si tratta di un seme specifico, il granello di senape, considerato il più piccolo di tutti i semi. Pur così minuto, però, esso è pieno di vita, dal suo spezzarsi nasce un germoglio capace di rompere il terreno, di uscire alla luce del sole e di crescere fino a diventare ”più grande di tutte le piante dell’orto” (cfr Mc 4,32): la debolezza è la forza del seme, lo spezzarsi è la sua potenza. E così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola, composta da chi è povero nel cuore, da chi non confida nella propria forza, ma in quella dell’amore di Dio, da chi non è importante agli occhi del mondo; eppure proprio attraverso di loro irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è apparentemente insignificante.
Per concludere, questo trittico di parabole, spezza la critica degli scettici, convinti di essere abbandonati a se stessi e allo loro piccolezza, votati quindi ad essere un punto senza un significato nello spazio e nel tempo. La nostra piccola forza, se immessa in quella del regno di Dio, si trasforma in un incendio che divora il gelo, le guerre e il male dell’umanità; diventa energia fecondatrice che produce le spighe del bene, dell’amore, della concordia e della fraternità. Nonostante le difficoltà e gli effimeri trionfi del male, la meta ultima della storia è in quell’albero di pace, grandioso e solenne sui cui rami si riparano tutte le creature di Dio.
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