Inserire l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, fino al punto di contestare l’obiezione di coscienza dei medici. La risoluzione approvata a maggioranza, e senza troppe sorprese, dal Parlamento dell’Ue scuote l’opinione pubblica continentale, riaprendo un dibattito etico e sociale che negli ultimi tempi, fra Stati Uniti e Francia, pare essere tornato al centro dell’agenda politica.

La scelta francese

La scelta francese dei primi del marzo scorso di inserire l’aborto nella propria Costituzione, caso unico al mondo, aveva in qualche modo gettato le basi per il voto del Parlamento di Bruxelles, mossa dal sapore squisitamente elettorale ad appena due mesi dal rinnovo dell’assemblea. A sorprendere sono semmai le “dimensioni” del via libera giunto dall’eurocamera: 336 sì, 163 no e appena 39 astensioni con Verdi, Socialisti, Sinistra e Liberali compattamente a favore, a fronte di un Partito popolare che si è invece diviso con 40 deputati schierati per il sostegno alla risoluzione.

Va detto che il voto del Parlamento non avrà alcun effetto sostanziale, essendo più che altro un indirizzo politico privo di valore vincolante: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione può essere modificata solo con una decisione unanime di tutti gli Stati membri. Ma non c’è dubbio che il voto rappresenti comunque un segnale politico ben preciso, specie alla vigilia dell’appuntamento elettorale dell’8 e del 9 giugno che porterà a eleggere un nuovo Parlamento continentale.

Una “dignità infinita”

Lo dimostra la pioggia di comunicati stampa che in poche ore ha invaso le redazioni dei giornali, segno di un interesse verso un tema, quello della vita e della sua difesa, che nel resto dell’anno scompare dalle agende politiche. Il rischio, purtroppo assai concreto, è che un legittimo dibattito sulla vita, sulla tutela dei più deboli e sul dramma dell’aborto, perché di un dramma si tratta (nella stragrande maggioranza dei casi) proprio per le madri, diventi una clava con cui colpire l’avversario politico di turno, senza alcun riguardo o rispetto per la sensibilità di chi, credente o meno, vorrebbe riconoscere alla vita una dignità che, come ha messo nero su bianco il Dicastero per la Dottrina della Fede appena qualche giorno fa in una dichiarazione ufficiale, non può che essere “infinita”.

“Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi – si legge nell’incipit della dichiarazione ‘Dignitas infinita circa la dignità umana’ dell’8 aprile -. Questo principio, che è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione, si pone a fondamento del primato della persona umana e della tutela dei suoi diritti”.

Giovanni Paolo II

E tra i pericoli per la dignità della vita, insieme alla maternità surrogata, agli abusi sessuali o alla violenza contro le donne, la Chiesa (come insegna la sua secolare Tradizione) annovera anche l’aborto. “Fra tutti i delitti che l’uomo può compiere contro la vita, l’aborto procurato presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente grave e deprecabile – scrive san Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae -. Ma oggi, nella coscienza di molti, la percezione della sua gravità è andata progressivamente oscurandosi. L’accettazione dell’aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita”. Un appello, quello messo nero su bianco nel 1995 dal pontefice polacco proclamato santo, che si spinge anche più in là: “Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno”.

Perché il rischio è duplice: da un lato quello di banalizzare l’aborto, considerandolo alla stregua di un diritto che in realtà ignora, fino alle più estreme conseguenze, il soggetto “debole”, cioè un bambino o una bambina tanto piccoli da non potersi difendere; dall’altro quello di trasformare l’aborto in un’arma di contesa politica, mortificando la tutela della vita e in particolar modo di quella più indifesa.
Un duplice rischio che i cattolici non possono correre in virtù di valori di fede, morali ed etici che prescindono dall’appartenenza politica e che attengono semmai a un profondo senso di umanità che vede nella soppressione della vita, specie quella più debole, un atto esecrabile e inaccettabile.

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Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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