Sono tante le parrocchie che, in questa prima fase di avvio pastorale, invitano il gruppo dei ministranti a riprendere il cammino di formazione e amicizia liturgica.

Una volta si chiamavano “chierichetti”, con un termine che riprendeva il significato di chierico (dal latino clericus), cioè membro appartenente al clero, e vestivano – proprio come il presbitero – la talare nera e la cotta bianca.

Fare il chierichetto voleva dire assumere un impegno, dentro e fuori l’azione liturgico-celebrativa della Chiesa: sei un chierichetto – dicevano i genitori di un tempo – adesso, anche fuori dalla Messa devi comportarti bene e impegnarti a voler bene al tuo prossimo.

Erano – potremmo dire – alcune sapienti indicazioni che motivavano l’impegno dei piccoli e nello stesso tempo li educavano al sacro.

Con il Concilio Vaticano II, il particolare contributo del laico offerto all’altare prenderà il nome di “ministrante” (dal latino ministrare, “servire”) e verrà riconosciuto come un vero e proprio ministero liturgico, con l’esplicito invito ad esercitare questo particolare compito (ufficio) con sincera pietà e buon ordine, «Bisogna dunque – recita una delle quattro costituzioni dogmatiche del Concilio – che tali persone siano educate con cura, ognuna secondo la propria condizione, allo spirito liturgico, e siano formate a svolgere la propria parte secondo le norme stabilite e con ordine» (Sacrosanctum Concilium, 29).

I presupposti simbolici legati al servizio del chierichetto-ministrante, un tempo, avevano una particolare incidenza nella vita familiare. Basti pensare alle tante feste e solennità liturgiche che anche nell’ambito della vita familiare trovavano una loro sacra collocazione, accompagnate dalle tradizioni popolari religiose e persino culinarie, che legavano il tempo sacro alla vita quotidiana.

Oggi, purtroppo, tali presupposti hanno sempre di più una minore incidenza nella vita quotidiana e familiare, e i simboli cristiani – una volta rappresentativi dell’appartenenza a Cristo – trovano posto solo nelle celebrazioni liturgiche che si svolgono in chiesa e non più nella vita quotidiana del cristiano, talvolta, limitati a puro ornamento sociale o religioso, messi da parte e considerati fuori moda, cedendo il passo ad altre simbologie e ritualità che nulla hanno a che fare con la fede cristiana: (solo per fare un esempio) Halloween, bandiere arcobaleno, immagini e allegorie legate alla natura, occultismo, gender.

Ben vengano allora gli inviti che in questi giorni i parroci – anche attraverso i social network – rivolgono ai giovani, per intraprendere un cammino di formazione alla simbologia e alla vita cristiana attraverso l’esperienza del gruppo ministranti.

Ci piace concludere con un breve passaggio del discorso che Papa Giovanni Paolo II rivolse ai giovani della parrocchia romana di Santa Bibiana nel 1996: «La gioventù passa, si diventa adulti e poi anziani. Ma sempre rimane qualcosa della giovinezza, rimane la giovinezza interiore. Io mi sento giovane nonostante gli anni che porto. Mi ricordo quando ero chierichetto. La Messa era diversa. Cominciava con le parole: «Introibo ad altare Dei» (mi accosterò all’altare di Dio, NdR) e il chierichetto rispondeva: «Ad Deum qui laetificat iuventutem meam» (a Dio che rende lieta la mia giovinezza NdR). Questo è vero. La gioia viene dal Signore. Vi auguro di avere sempre questa gioia che viene da Dio. Nella vita ci possono essere momenti difficili e dolorosi, ma se abbiamo questa fonte della gioia che viene da Dio possiamo perseverare».

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Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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