Un’esperienza anzitutto ecclesiale: così potremmo definire il servizio svolto dai ministri straordinari della santa comunione; una dimensione fondamentale per ogni servizio svolto nelle nostre comunità ma che in questo caso assume caratteristiche ancor più significative. Eccoci alla terza tappa del viaggio di Portadiservizio alla riscoperta dei ministri straordinari, un servizio istituito 50 anni fa (clicca qui per leggere la prima e la seconda tappa) e più necessario che mai.

Chiamati a edificare la Chiesa

La santa comunione portata agli anziani, agli ammalati o a chi non può fisicamente prendere parte alla celebrazione eucaristica non è infatti una circostanza privata, ma un’attività che contribuisce all’edificazione della Chiesa. Lo dice in modo chiaro anche il rito dell’istituzione dei ministri che, dopo aver sottolineato i loro compiti (“distribuire l’Eucaristia ai fedeli, portarla ai malati, recarla come viatico ai moribondi”) e aver ricordato l’esigenza di una chiara testimonianza di fede (“cercate di esprimere nella vita cristiana la realtà dell’Eucaristia, mistero di unità e di amore”), propone tra gli impegni quello di assumere un “ufficio per il servizio e l’edificazione della Chiesa”.

Il volto di una Chiesa prossima

I ministri straordinari non sono dei semplici “portatori di Eucaristia”, sono molto di più: danno volto, voce e presenza a una comunità cristiana missionaria che non dimentica i più deboli e considera tutti i battezzati come membra vive del Corpo mistico di Cristo. “Noi tutti infatti, pur essendo molti – si legge nel rito di istituzione – siamo un corpo solo perché partecipiamo dell’unico pane e dell’unico calice. E poiché distribuirete agli altri l’Eucaristia, sappiate esercitare la carità fraterna, secondo il precetto del Signore, che nel dare in cibo ai discepoli il suo stesso corpo, disse loro: Questo è il mio comandamento, che vi amiate l’un l’altro, come io ho amato voi”.

Se crediamo in un Dio che si è fatto piccolo e indifeso, che si mostra negli affamati, nei prigionieri e nei perseguitati, che definisce “beati” coloro che sono afflitti, allora non possiamo non considerare gli anziani e gli ammalati parte viva e integrante delle nostre comunità parrocchiali; magari fisicamente lontani, ma uniti a noi nella preghiera e nella liturgia.  Un’appartenenza ecclesiale che, in questo caso, va resa “toccabile con mano” mettendo in campo iniziative pastorali coraggiose e innovative.

Una doppia sfida

La sfida più grande è bi-direzionale: da un lato dobbiamo far sentire anziani e ammalati parte integrante delle parrocchie, dall’altro dobbiamo ricordarci come comunità che occuparci dei fratelli e delle sorelle più deboli non è un optional, ma un compito qualificante del nostro essere discepoli del Signore.

Partiamo, per esempio, dal giorno in cui portiamo la comunione: a meno che non si tratti di circostanze particolari dovrebbe essere la domenica o, al più, il sabato pomeriggio. E non si tratta di un dettaglio di poco conto dal momento che gli anziani e gli ammalati, anche se non presenti, sono parte (al pari nostro) di quella Chiesa visibile e invisibile che offre il suo culto a Dio e celebra il sacrificio eucaristico. Un’appartenenza resa viva dal nutrirsi del pane e del vino del medesimo banchetto; stessa cosa si può dire per la Parola che celebriamo e spezziamo insieme.

Andiamo poi al rito: vero è che la struttura è sempre la stessa ma la liturgia, per nostra fortuna, ci consente adattamenti che ci aiutano a celebrarla e viverla al meglio. Nulla ci impedisce, per esempio, di utilizzare per i tempi forti come l’Avvento, il Natale, la Quaresima e la Pasqua testi e formule più specifici, sul modello di quanto già facciamo in parrocchia. O di proporre, in aggiunta alla preghiera, anche qualche attività più “pratica” come la corona d’Avvento o i “sepolcri” quaresimali da tenere per sé o da donare; cose che nelle nostre comunità realizziamo ormai abitualmente ma che dovrebbero diventare usuali anche con gli anziani e gli ammalati, nei limiti delle loro possibilità e rispettando comunque la libera adesione di ciascuno. Attività che da un lato possono far sentire questi fratelli e queste sorelle componenti effettivi della Chiesa, dall’altro ci ricordano che, seppur lontani, sono uniti a noi in Cristo.

Vicini nel momento della prova

I ministri però hanno anche un altro compito, forse ancor più delicato degli altri: incarnare la prossimità della Chiesa persino nel momento più difficile, quello della morte, che coinvolge tanto chi è chiamato a tornare alla casa del Padre quanto chi gli sta accanto e se ne prende cura. Spesso gli ammalati, gli anziani e i familiari trovano nei ministri straordinari un punto di riferimento, un volto amico, un punto di contatto con la Chiesa e con un Dio che è misericordia.

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Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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