La notizia di qualche giorno fa, dello stupro di una ragazza di vent’anni da parte di 7 giovani coetanei palermitani, i cui volti e nomi sono stati resi noti, solleva ancora una volta la questione dell’urgenza educativa dei nostri ragazzi e ragazze, e delle difficoltà che tanti genitori e famiglie vivono.
Se pensiamo, per un attimo, all’orrendo episodio di violenza, non possiamo girarci dall’altra parte, magari assaporando gli ultimi giorni di una calda estate. È sotto gli occhi di tutti il moltiplicarsi di ragazzi illusi di poter fare da sé, senza regole educative.
I sette giovani avevano pianificato tutto, avevano dei compiti già stabiliti. C’era chi agiva, chi guardava, chi riprendeva con un telefonino e inviava nel gruppo, chi picchiava, e al termine, hanno continuato ad ingozzarsi, stavolta di cibo a pochi metri dal luogo dell’orrenda violenza perpetrata.
L’esasperata valorizzazione dell’autonomia personale dei nostri tempi, fino al limite dell’autosufficienza, ha portato i nostri ragazzi, e non solo, a pensare che rientri nei loro diritti comportarsi come se non dovessero rendere conto di nulla e nessuno, ogni regola condivisa pare non esistere più.
Viviamo nella società del tutto e del subito, dove i “no” sono difficili da pronunciare da parte degli adulti, e senza adulti autorevoli capaci di essere tali non ci sono regole che funzionano. I genitori devono tornare ad educare e trasmettere valori e regole del vivere civile, e soprattutto rispetto per le persone e il bene comune.
Vittorino Andreoli, famoso neuropsichiatra, ha parlato di regressione antropologica, e non possiamo non essere d’accordo con lui quando assistiamo ad episodi come questi.
«L’uomo sta perdendo la mente e anche l’anima, e quindi si riduce a corpo, a muscoli che gli consentono di svolgere le mansioni dell’Homo faber, che corre, consuma sesso, mangia e usa le mani: un tempo per lavorare, adesso per gli hobby. Si tratta di una profonda regressione antropologica, non soltanto di un effetto secondario del progresso tecnologico. Se cadono non solo le facoltà ideative, ma anche i desideri, il piacere di sapere, tutto riporta al fare come segno di essere. Non più il “cogito ergo sum”, ma “faccio dunque non sono morto”».
Non ci resta che sperare in un nuovo umanesimo che parti da sane relazioni. Relazioni tra adulti e giovani in un clima familiare positivo fatto di ascolto reciproco, senza violenza, con strategie educative sostenute anche da un patto formativo con la scuola. Un’agenzia educativa che il più delle volte funziona, dove i nostri ragazzi trascorrono metà del loro tempo e che grazie a bravi insegnanti possono trovare ascolto ed aiuto. I genitori, che oramai hanno delegato il loro ruolo di essere padri e madri alle istituzioni scolastiche perché se ne facciano carico, devo tornare a fidarsi della scuola. La famiglia infatti non basta, ci vuole una rete più ampia, una comunità che sappia offrire opportunità di crescita ed essere un salvagente nei momenti di fragilità. La scuola è il luogo dove si formano le nuove generazioni, che un domani diventeranno la futura classe dirigente e che sono già il presente del nostro paese.
La corresponsabilità tra Scuola e genitori, per l’educazione delle nuove generazioni, è tra i principi fondamentali espressi nella nostra Costituzione, e oggi nel contesto dell’emergenza educativa appare fondamentale ricordarlo.
Anche Papa Francesco ha parlato più volte di “emergenza educativa”. Urgente è costruire nuove strade per trasformare lo stile di vita di tutti noi. L’urgenza di passare da un mondo chiuso a un mondo aperto; da una cultura dell’usa e getta a una cultura della cura; dalla ricerca degli interessi di parte, alla ricerca del bene comune. Bergoglio conclude affermando che il lavoro educativo è un grande dono prima di tutto per chi lo compie: è un lavoro che chiede molto, ma che dà molto!
La relazione costante con gli educatori, con i genitori, e specialmente con i ragazzi e i giovani è una fonte sempre viva di umanità, pur con tutte le fatiche e le problematiche che comporta.
Un antico proverbio africano dice che per educare un bambino serve la collaborazione dell’intero villaggio, di un’intera comunità educante, ecco perché episodi di violenza come questo e come tanti altri che stanno caratterizzato questo nostro momento storico, richiamano alla responsabilità da parte di tutti
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