Era il 4 Dicembre del 1623 quando nella fredda Yezo, si svolgeva solennemente l’esecuzione capitale di ben cinquanta cristiani.

Era mattina quando vennero alle prigioni i ministri della giustizia che legarono i condannati e li condussero attraverso la città al luogo del supplizio. Fu organizzato un corteo dividendo i prigionieri in tre gruppi, a capo di uno dei quali vi era l’ennese Girolamo De Angelis. Il luogo suddetto, che si trovava poco fuori la città su di una piccola altura, si riempì subito di molti cristiani accorsi da ogni parte, ma anche da moltissimi pagani tra cui le autorità convenute per le feste di investitura del nuovo primo ministro. Il padre De Angelis, lasciato assieme ad altri due a cavallo per vedere il supplizio degli altri, con grande stupore dei persecutori, che speravano potesse dissuadersi dalla fede alla vista di tale martirio, diede di sprone al cavallo e, portatosi di fronte alla folla, ammonì i presenti sull’infelicità di vivere lontani dalla conoscenza del vero Dio e della gioia di morire per suo amore.

Morte le prime vittime, il padre e gli altri due furono legati ciascuno al palo e si procedette a dar fuoco alle cataste di legno. In mezzo ai roghi fu posto un cartello con su scritto: «Costoro sono fatti morire perché cristiani». Durante il martirio, il fuoco avendo bruciato le corde che lo tenevano legato al palo, il beato Girolamo riuscì a mettersi in ginocchio e congiungendo le mani al petto, dopo aver osservato la città, sollevò gli occhi al cielo finché la sua anima si ricongiunse a Dio. Dopo ventidue anni di instancabile apostolato, all’età di cinquantasei anni, con il martirio sugellava la donazione della sua vita a Cristo.

Era nato nell’antica città sicula di Enna nel 1568 ed entrò giovanissimo nella Compagnia di Gesù dopo esser rimasto affascinato della spiritualità igniaziana degli Esercizi Spirtuali vissuti a Palermo, dove inizialmente si trovava per lo studio del diritto. Ordinato sacerdote a Lisbona partì alla volta del Giappone, dove giunse a seguito di diverse traversie nel 1602. Fu prima superiore della casa di Fouchimi, eresse la residenza di Sourounga e stava lavorando per fondarne una a Yendo quando scoppiò violentissima la persecuzione.   Durante gli anni di missione ebbe modo, primo tra gli europei, di visitare il regno di Yezo di cui tracciò una relazione etnografica, ancora tenuta particolarmente in considerazione nel panorama scientifico. Furono molte le difficoltà da lui affrontate durante gli anni di ministero ma, quanto accrescevano gli impedimenti, tanto più accresceva lo zelo apostolico che si declinava nell’annuncio e nel servizio ai più deboli.

In questo modo, la testimonianza del Beato Girolamo appare di un’attualità disarmante. Come afferma papa Francesco in Evangelii gaudium: «L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza». Quando si vive la solidarietà, attingendola alla contemplazione di Gesù in croce, avviene lo stesso mistero di cambiamento che coinvolge e trasforma le strutture della società. Questa infatti, essenzialmente è stata la via di santità percorsa dal martire ennese, il quale seppe unire in sé l’ardore della fede, che lo portò a realizzare un’efficace opera missionaria, alla passione per la carne sofferente di Cristo che incontrava nella gente che gli veniva affidata.

Un particolare interessante del suo martirio, che potremmo intendere come il compendio della sua intera esistenza, risiede in un’iscrizione che i carnefici posero alle sue spalle durante il corteo che lo conduceva al luogo in cui sarebbe stato bruciato vivo e che riportava il termine “padre” per distinguerlo dai fedeli laici. Sicuramente i carnefici non avrebbero mai potuto pensare quanto potesse significare quel termine ma è innegabile quanto sia forte la connessione che intercorre tra esso e la testimonianza che in quel momento si stava consumando.

Guardando come ad un modello il Beato Girolamo, si apprende infatti che l’esperienza di paternità non è mai quella di appropriazione ma quella di decentramento. Ogni genitore cioè, è tale solamente quando si pone nei confronti del figlio, nell’atteggiamento di chi, non solo trasmette la vita e con essa i più grandi valori, ma di chi si fa custode dell’alterità e della identità del figlio. “Custodire” un figlio non significa pertanto sacrificarsi, ma cogliere quei semi di eterno che sono insiti in lui. Essere padre secondo la logica dell’erede dei doni di Dio, indurrà a riconoscere il debito che ci lega alla nostra provenienza. Il padre a sua volta è figlio. Ma se l’ereditare diviene appropriazione, non si avrà più generatività ma solo morte.

Essere padre nella dinamica di un ministero presbiterale significherà essere mediatore di una vita libera che non può essere spazzata dal vortice dell’appropriazione.

Il beato Girolamo è martire, cioè testimone, anche in questo: di una paternità che sospinta da un amore ricevuto, si fa generatore dello stesso in una dinamica di libertà. Ed è proprio nel momento in cui si è capaci di morire che si realizza pienamente la paternità: ciò che generiamo con amore non ci appartiene, ma se realmente lo amiamo, affinché possa continuare a vivere, dobbiamo lasciargli la possibilità di essere non solo grazie a noi ma anche senza di noi. Una morte quindi che non è fine a se stessa e che evidentemente nel caso del martire Girolamo non si può identificare come una mera sconfitta umana, ma che, come ricorda Massimo Recalcati – in una sua riflessione alla quale questa si ispira – prosegue nel compito del figlio che consiste nel “farsi erede di quella provenienza dall’Altro che non ha deciso; riconquistarla, farla sua”.

A distanza di quattrocento anni dal martirio, la città del padre Girolamo gli dedica un anno giubilare, un anno di memoria e di grazia. Sarà aperta una porta Santa, saranno tante le iniziative a lui dedicate.

Ma si raccoglierà la forza della sua testimonianza?

La Chiesa da sempre ha avuto la consapevolezza di essere fondata, sostenuta e benedetta dal sangue dei martiri. Che la memoria del Beato Girolamo possa impetrare ancora in ognuno il desiderio di “generare” Dio nell’oggi di ogni tempo.

In foto: Martirio del Beato Girolamo De Angelis (tela andata distrutta durante la seconda guerra mondiale e oggi sostituita con una riproduzione), Chiesa del Gesù, Palermo.

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Di Eduardo Guarnieri

(1998), studente di sacra teologia, si interessa dello studio che intercorre tra l’arte e la fede.

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