Grande, la partecipazione dei fedeli, ieri, durante la processione a Palermo del Corpus Domini, che ritorna a percorrere le strade della Città dopo due lunghi anni di sospensione forzata a causa della pandemia.

Nella fotografia (di Andrea Rera) che vi proponiamo vi è rappresentato un momento della processione che si è svolta a Palermo, con un dettaglio iconografico che merita di essere spiegato.

Si tratta del drappeggio rettangolare portato da due ministranti, che precede l’Arcivescovo, monsignor Corrado Lorefice, con in mano l’ostensorio eucaristico. Al centro del drappeggio spicca la figura di un pellicano.

Il pellicano è un uccello migratorio, un palmipede bianco-rosato che vive di solito lungo le rive dei fiumi o del mare. Si nutre essenzialmente di pesce che riesce a conservare nella sacca situata sotto il becco allungato.

Nella iconografia cristiana il pellicano è stato considerato il riferimento simbolico a Cristo, come leggiamo per esempio nella sesta strofa dell’inno attribuito a S. Tommaso d’Aquino, Adoro te devote, che così recita: «Pie pelicane, Iesu Domine, / Me immundum munda tuo sanguine» (Oh pio Pellicano, Signore Gesù, / Purifica me, immondo, col Tuo sangue).

Al pellicano, infatti, la credenza popolare, attribuì un amore straordinario per i suoi piccoli, capace di trafiggere il proprio petto con il becco per versare il sangue nei corpi senza vita dei suoi piccoli, riscaldandoli e restituendo loro la vita. Da questa credenza popolare fu tratta l’immagine applicata a Cristo che per amore degli uomini, morti nel peccato, versa il Suo Sangue per donare la vita eterna.

Diverse leggende parlano del pellicano, raccontando che i suoi piccoli nascono così deboli da sembrare morti; altri spiegano che la madre, tornando al nido, li trova uccisi dal serpente o dalla nitticora; altri ancora – come per esempio il testo del Fisiologo (piccola opera redatta tra il II e il III secolo d.C. da autore ignoto che contiene la descrizione simbolica di animali e piante con rimandi allegorici ad alcune citazioni della Bibbia) parlano del pellicano come l’uccello che ama grandemente i suoi figli, e che tuttavia «quando ha generato i piccoli, questi, non appena sono un po’ cresciuti, colpiscono il volto dei genitori; i genitori allora li picchiano e li uccidono. In seguito però ne provano compassione, e per tre giorni piangono i figli che hanno ucciso. Il terzo giorno, la madre si percuote il fianco e il suo sangue, effondendosi sui corpi morti dei piccoli, li risuscita»; oppure – sono ancora le pagine del Fisiologo a riferirlo – si tratta di un delitto involontario, una conseguenza dovuta al gesto della madre che li stringe eccessivamente a sé per riscaldarli e abbracciarli al punto da lacerare i loro fianchi. «Dopo tre giorni torna il maschio e li trova morti… e bruciante di pena, si colpisce il petto; dal suo petto esce sangue, lo versa sulle ferite dei piccoli morti e quelli ritornano in vita».

Comunque sia, l’immagine del pellicano è divenuta attraverso i secoli il simbolo dell’amore smisurato di Cristo verso il genere umano, che lo porta al sacrificio della Croce per la salvezza di tutti gli uomini.

«Oh pio Pellicano, Signore Gesù,

Purifica me, immondo, col Tuo sangue,

Del quale una sola goccia può salvare

Il mondo intero da ogni peccato».

(Adoro te devote)

Foto: di Andrea Rera

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Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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