Es 20,8 – 10: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te». 

Sembra molto facile riposarsi, poiché c’è un riposo immediato, che è pur sempre importante ma potrebbe risultare falso e non duraturo; e c’è un riposo vero ma più difficile da individuare e vivere però gli effetti sono più profondi ed edificanti. In molti ritengono che sia sufficiente evadere dagli impegni quotidiani e investire economicamente in “distrazioni” per recuperare le forze e nuovo entusiasmo, ottimo investimento le vacanze e i viaggi ma non è sufficiente. La sensazione è quella di sentirci prigionieri della nostra quotidianità e così cerchiamo di scappare via ma se solamente questo ci spinge a cercare il meritato riposo, allora restiamo evasori delusi e non persone rigenerate, col rischio che la nostra vita quotidiana si trasformi in una forma di schiavitù per diventare prede di idoli e false immagini del riposo (per esempio: Guadagnare per divertirsi. Avere successo per poter soddisfare qualsiasi forma di piacere, etc.). Cresce l’insoddisfazione e questo noi lo avvertiamo prepotentemente dentro di noi.

Interrogando le parole del Decalogo cerchiamo il vero significato del riposo e della ricarica interiore: duratura, vera, profonda e soddisfacente. Il riposo, alla luce della Parola, è guardare la realtà e dire: che bella la vita! Dice Papa Francesco che «al riposo come fuga dalla realtà, il Decalogo oppone il riposo come benedizione della realtà». La domenica, per noi cristiani è il primo giorno della settimana, cela dietro di sé l’evento della risurrezione di Cristo, il giorno del sepolcro vuoto. Come scrive Giovanni Paolo II, è la celebrazione della nuova creazione, poiché in Cristo risorto si rivela pienamente il mistero pasquale, lui che è «primizia di coloro che sono morti». Risurrezione significa anche che Dio dice il suo sì definitivo al bene, alla vita, trasformando la caducità della creazione in una realtà aperta all’attesa della fine dei tempi, la risurrezione è allora l’inizio di una presenza divina che non finirà più. Si dischiude così lo stretto legame tra la Risurrezione e la domenica e tra la domenica e l’Eucaristia, presenza del Risorto.

La domenica non è il giorno per cancellare gli altri giorni ma per ricordarli, benedirli e fare pace con la vita. Quanta gente che ha tanta possibilità di divertirsi, non vive in pace con la vita, con se stessa, né con gli altri! La domenica è la giornata per fare pace con la vita, dicendo: la vita è preziosa; non è facile, a volte è dolorosa, ma è preziosa.

Essere introdotti nel riposo autentico è un’opera di Dio in noi, ma richiede di allontanarsi dalla maledizione, dalla mediocrità, dal chiacchiericcio, dalla lamentela e dal suo fascino (cf. Evangelii gaudium, 83). Piegare il cuore all’infelicità, sottolineando quello che non va bene e i motivi dello scontento è facilissimo. Aprirsi al bene, all’amore vero, alla felicità, questa è la scommessa più audace.

La pace si sceglie, non si può imporre e non si trova per caso. Dice il Signore nel Deuteronomio: «Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (30,19). Questa scelta è il “fiat” della Vergine Maria, è un’apertura allo Spirito santo che ci mette sulle orme di Cristo, Colui che si consegna al Padre nel momento più drammatico e imbocca così la via che porta alla risurrezione.

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Di Maria Catena

Docente di Liturgia, scrive per Theofilos, la rivista della Scuola Teologica di Base “San Luca Evangelista” dell’Arcidiocesi di Palermo.

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