La Risurrezione interroga, travolge e stupisce. L’Incredulità di Tommaso, opera realizzata da Caravaggio tra il 1600 e il 1601, oggi conservata a Postdam, sembra celebrare in pittura l’esperienza di ogni uomo che, dialogando con il corpo trasfigurato del Cristo, attinge da esso senso per la propria esistenza. Ogni essere umano, infatti, trova senso di vita in quei gesti che durano nel tempo e che dicono amore. Amare qualcuno e dire a qualcuno “ti amo” equivale a dire che se ne desidera l’eternità. Credere e sperare nella risurrezione è, pertanto, una questione di amore perché solo questo ha provocato la Risurrezione di Gesù. Siamo chiamati a immergerci nell’amore di Dio la cui forma, il cui modello, la cui rivelazione più alti sono riassunti in Gesù e se il cuore ha le sue ragioni, l’amore rende possibile il rapporto con la realtà.

L’artista sceglie di mettere in risalto le debolezze umane anche quando come nel Sacrificio di Isacco – la rappresentazione ha per tema la saldezza delle convinzioni di fede. La disposizione geometricamente accurata non è solamente indice di un’esigenza compositiva, ma di una relazione simbolica che lega i personaggi tra loro. È singolare, infatti, la costruzione di un triangolo immaginario ricavato a partire dagli sguardi dei quattro personaggi le cui teste sono disposte a formare un quadrifoglio tanto da ricavarne una croce. L’annuncio cristiano è quello del Crocifisso Risorto, pertanto la Croce, evocando il mistero di Cristo, ne diventa simbolo.

L’uomo è prescelto sin dalla creazione per stare innanzi al suo Creatore, senza macchia alcuna (Ef 1,4) ma, subentrando la morte a causa del peccato, la natura umana è dilacerata da Dio e per ricostituirla occorre un “secondo Adamo” disceso dal cielo. Il Crocifisso Risorto, pertanto, è meta di ogni esistenza, per il quale il mondo perviene al suo fine. La scena vede Gesù che spinge la mano rozza dell’apostolo dentro la piaga quasi a sottolineare la volontà di trionfo della verità.

Gli altri due personaggi non si sa chi siano: è possibile che, come accade nella Vocazione di San Matteo, il Caravaggio includa altri personaggi per dire l’universalità della salvezza che coinvolge chiunque. Difatti gli abiti dei personaggi, a differenza di quelli del Cristo, sono quelli propri del 600. Questa universalità è sottolineata dalle diverse mani che si incontrano: quelle di Gesù sono affusolate e pulite e quelle di Tommaso rozze e sporche.

Nessuno è escluso dall’amore di Dio neppure quelli ritenuti più “sporchi”. È diffusa l’idea che Dio faccia leva sulle nostre forze, ma la Sua Salvezza si compie attraverso le nostre debolezze. Egli è venuto per i malati e non per i sani (Mt 9,12) e quando ha voluto far esperienza dell’uomo ha posto l’accento là dove l’uomo si è perduto: nella morte. L’Incredulità di Tommaso del Caravaggio diventa così icona ed evocazione di quel dialogo tra la fragilità di Dio – che rivela la sua potenza salvifica nella sua onnidebolezza d’amore, impressa nelle sue piaghe che sopravvivono alla morte come tutti i segni dell’amore – e la fragilità dell’apostolo Tommaso la cui fede vacilla non meno rispetto agli altri apostoli perché, lo sappiamo bene, Dio non sceglie per merito ma per misericordia. Forse nel nostro tempo, accantonati i deliri di onnipotenza, solo il riconoscimento e l’accoglienza della propria fragilità consegnata nelle mani di Dio può riconsegnarci la verità che andiamo cercando per ritrovarci.

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Di Eduardo Guarnieri

(1998), studente di sacra teologia, si interessa dello studio che intercorre tra l’arte e la fede.

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