Es 20,7: «Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano».

La versione «Non pronuncerai» traduce un’espressione che significa letteralmente, in ebraico come in greco, «non prenderai su di te, non ti farai carico», del nome di Dio mentendo.

L’espressione «invano» significa «a vuoto, vanamente», come ad un contenitore senza il contenuto al suo interno, e questa è la caratteristica dell’ipocrisia, del formalismo e della menzogna, dell’usare le parole o usare il nome di Dio, ma a vuoto, senza verità. Quindi possiamo dire che nessun credente si dirà cristiano se al nome non corrisponde la vita.

Il nome nella Bibbia esprime la verità intima delle cose e soprattutto delle persone, allora “prendere su di sé il nome di Dio” vuol dire assumere la sua realtà, entrare in una relazione forte, in una relazione stretta con Lui, in una relazione d’amore. Per noi cristiani questo comandamento è il richiamo all’essere battezzati «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», come affermiamo ogni volta che facciamo su noi stessi il segno della croce.

Esiste una stretta relazione tra “non ti farai alcuna immagine” e “non nominare il nome di Dio invano”, perché le false immagini che ci creiamo possono essere anche teologiche svilendo così il vero volto di Dio. La stessa cosa vale per il nostro comandamento e cioè non pronuncerai invano il nome di Dio vivendo da persona mediocre e senza espandere la bellezza che viene da questo nome.

Corriamo il rischio di vivere una relazione falsa con Dio, anche Gesù ci mette in guardia, richiamandoci a non essere come quei dottori della legge i quali facevano delle cose, ma non facevano quello che Dio voleva. Parlavano di Dio, ma non facevano la volontà di Dio. Questa Parola del Decalogo è l’invito ad una relazione vera con Dio, senza ipocrisie e resistenze. Il rapporto vero con Dio è in grado di cambiarci dal dì dentro, questo è il cristianesimo che tocca i cuori: una fede che rivoluziona il nostro intimo e crea attrazione. Perché i santi sono così capaci di toccare i cuori? Perché non solo parlano, ma ci mostrano quello che il nostro cuore desidera: autenticità, relazioni vere, radicalità. E questo si vede anche in quei “santi della porta accanto”.

Nessuno può disprezzare se stesso e pensare male della propria esistenza, perché noi valiamo il sangue di Cristo, perché il nome di ognuno di noi è sulle sue spalle. Lui ci porta! Vale la pena di prendere su noi il nome di Dio perché Lui si è fatto carico del nostro nome fino in fondo, del nostro destino, anche del male che c’è in noi. Chiunque può invocare il santo nome del Signore, e ogni lingua può proclamare che Gesù Cristo è il Signore, che è Amore fedele e misericordioso, in qualunque situazione si trovi. Dio non dirà mai di “no” a un cuore che lo invoca sinceramente.

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Di Maria Catena

Docente di Liturgia, scrive per Theofilos, la rivista della Scuola Teologica di Base “San Luca Evangelista” dell’Arcidiocesi di Palermo.

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