Grazie agli amici di radio RTL 102.5, Raoul Bova – l’attore che a breve interpreterà don Massimo nella fortunata serie televisiva “Don Matteo” – ha potuto leggere il monologo che aveva preparato in occasione della sua presenza al Festival di Sanremo. Un testo molto bello e significativo sulla figura del sacerdote, composto da Don Luigi Maria Epicoco, teologo e scrittore, assistente ecclesiastico del Dicastero vaticano per la comunicazione ed editorialista dell’Osservatore Romano.

Un testo, dicevamo, che Raoul Bova non ha potuto leggere durante il Festival di Sanremo perché – gli hanno detto dall’Ariston – vi erano “esigenze di scaletta”! Una risposta che – girala come vuoi, e con tutta la cortese magnanimità che vuoi – sa tanto di miserevole “censura”, visto che quest’anno al Festival di Sanremo è stato dedicato ampio spazio (proprio attraverso il monologo!) a diverse, “lunghe” e discutibili considerazioni antropologiche.

«Il monologo – spiega a RTL 102.5 Luca Bernabei, Amministratore Delegato di Lux Vide (la società che produce molte serie tv, tra le quali “Don Matteo”) – nasce da un’esigenza giusta di Raoul, quella di andare a Sanremo e dire qualcosa sul suo personaggio e sulla figura del sacerdote. L’idea di Raoul era raccontare il suo personaggio attraverso qualcosa di particolare, come sapete a Sanremo molti fanno i monologhi (alcuni anche in maniera inappropriata). Così ho chiamato Don Luigi Maria Epicoco, con il quale sto lavorando ad un grandissimo progetto, e gli ho chiesto cosa volesse dire per lui essere prete, indossare una tonaca, e lui ha scritto questo monologo».

SULL’INUTILITÀ DEI PRETI

La gente pensa che fare il prete sia un mestiere.

Uno che magari si sveglia la mattina

ed è convinto di poter mettere su

una bancarella per vendere parole,

benedizioni,

e santini.

Uno pensa che basta mettersi una tonaca e la magia è fatta.

Ma la tonaca non funziona se sotto non c’è un uomo,

un uomo che sa che è il più miserabile di tutti,

eppure è stato scelto.

È difficile accettare il peso di quella tonaca che oggi appare più inzozzata dal tradimento di chi avrebbe dovuto amare

e invece se n’è solo servito.

Ma poco importa, bisogna caricarsi anche sulle spalle l’infamia degli altri.

Non si diventa preti per essere benvisti.

Si diventa preti per essere servi inutili,

Servi gratuiti.

L’amore salva solo se è gratuito.

È questo lo scopo di ogni vero amore: amare senza contraccambio.

Amare a fondo perduto.

Amare e basta.

Chi ti ama non ti dice che non soffrirai mai,

che non sbaglierai mai,

che non avrai mai paura,

ma ti dice che tu puoi vivere tutto,

accettare tutto,

affrontare tutto.

E te lo dice perché è con te.

Fare il prete non è un mestiere,

è un modo inutile di amare.

Inutile come ogni amore.

Inutile come l’aria.

Ma, ovviamente, uno che vuole condividere con milioni di spettatori queste “strane” idee sul sacerdozio… lo lasci parlare liberamente al Festiva di Sanremo?

Grazie ai colleghi di radio RTL 102.5, Non Stop News con Giusi Legrenzi, Enrico Galletti e Massimo Lo Nigro per averci restituito il diritto alla libertà di parola!

Foto: Screenshot RaiUno

Per rivedere l’intervista di radio RTL 102.5 puoi cliccare qui.

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Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.

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