Tra i più celebri racconti dell’Antico Testamento si annovera quello della chiamata di Eliseo, il quale viene investito da Elia attraverso un gesto assai particolare. Si narra infatti nel Primo Libro dei Re che, l’anziano profeta vedendo il giovane condurre dei buoi innanzi a sé, gli gettò il proprio mantello addosso, come a significare il passaggio del testimone profetico (1Re 19, 19-21). Il simbolo del mantello nella Sacra Scrittura risulta essere foriero di grande significato. Esso infatti, non solo rappresenta la protezione ma anche la persona e i suoi diritti. Il mantello pertanto è anzitutto segno della sollecitudine di Dio verso il suo popolo, come ricorda il bellissimo passo del profeta Ezechiele che raffigura in questo modo la cura divina: “Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l’età dell’amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia” (Ez 16, 8). Ma il mantello è anche segno della dignità della persona e nel caso della vocazione di Eliseo, assume i connotati di una presa d’acquisto, di possesso e più tardi, nel momento dell’addio tra i due profeti, rappresenterà il passaggio dello Spirito profetico da parte del maestro sul discepolo, rendendo quest’ultimo capace di compiere prodigi più grandi del primo (2 Re 2,8. 13-14).

La tradizione cristiana a sua volta, sia perché erede della tradizione giudaica ma anche perché suggestionata dal racconto evangelico dell’emorroissa, la quale, toccato con fede il lembo del mantello di Cristo fu subito risanata dal suo male (Mc 5, 25-34), rafforzò e custodì il valore simbolico del mantello che, nella devozione alla Vergine Maria troverà uno dei maggiori veicoli espressivi. La più antica antifona mariana, Sub tuum praesidium, allude proprio a quella particolare attitudine di custodia, conforto e difesa che i cristiani di ogni tempo hanno visto espressa nell’intercessione della Vergine Maria, la quale per molti si è rivelata segno visibile della protezione di Dio che ha sempre vegliato sui passi della Chiesa “come l’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati” (Dt 32,11). L’arte cristiana pertanto ben presto si servirà di questo particolare ed espressivo segno per manifestare l’accorata fiducia dei fedeli nei confronti della Madre del Signore. Tra le tante opere, esempio è la celebre Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, in cui la Vergine viene rappresentata nell’atto di allargare il proprio mantello per dare ospitalità e protezione ai fedeli inginocchiati. Tale iconografia risentì di particolare successo durante il medioevo, quando tra l’altro, con la cosiddetta “protezione del mantello” le nobildonne potevano concedere protezione ai perseguitati e bisognosi d’aiuto. In Sicilia, terra a lungo tempo dominata dagli spagnoli, si diffuse anche l’abitudine di confezionare e rivestire con preziosi mantelli le statue interessate da particolare devozione, proprio a significare quella richiesta di protezione che i fedeli richiedevano e agognavano.

Il mantello però, così come il sopracitato testo biblico ci suggerisce, non è solo simbolo di protezione ma talvolta, come nel caso di Elia con Eliseo, diviene strumento di consegna di una missione o, meglio ancora, di vocazione. Sarebbe bello poter pensare che, nell’atto di rifugiarci presso il manto di Maria, veniamo in qualche modo investiti della sua stessa missione, una vocazione che renderebbe anche noi generatori di una Parola che si incarna e che dona vita. La devozione a Maria infatti non dovrebbe esser vista solamente in funzione di una sospirata protezione che, seppur sia legittimata dalla confidenza filiale di cui il cristiano gode nei confronti di questa singolare madre, se assolutizzata potrebbe sfociare in forme idolatriche. Maria non ci è solo madre ma anche maestra e il suo eterno monito “fate quello che Egli vi dirà” (Gv 2,5), riporta il nostro cammino a percorrere la strada tracciata da Cristo. Quella sua pertanto, si delinea come una figura parenetica la quale fonda il proprio insegnamento su una coerenza di vita che nel Vangelo si ravvisa anche nei momenti di silenzio, perché si sa che il testimone è tale anche quando tace, in quanto la propria vita diviene trasparenza di ciò che professa. La forma di devozione più bella a Maria è quella di eleggerla a modello di vita perché la sua è una bellezza generosa che si dona a quanti contemplano in lei il volto trasfigurato di una donna che ha vissuto in pienezza l’adesione a Cristo. Colpisce quel particolare del passo lucano della Visitazione, quando l’evangelista afferma che Maria si “alzò di fretta” (Lc 1,39) per raggiungere la cugina Elisabetta ad Ain Karem. Il verbo Aναστᾶσα (alzarsi) non è soltanto il termine che la Bibbia dei LXX utilizza per tradurre l’ebraico ק֚וּם che richiama tutti quei momenti in cui nell’Antico Testamento qualcuno “si alza” per rispondere ad un comandamento divino (Cf. Gn 13,17) ma è lo stesso che viene utilizzato per dire la risurrezione. Maria cioè, già partecipa nella sua vita di madre e discepola alla condizione dei beati che altro non è che farsi riverbero dell’amore divino lungo i solchi della storia dell’uomo, come il sole che penetra tra gli angusti spazi delle feritoie, conferendo loro senso e bellezza. Così a tal proposito l’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna, si è espresso in occasione della straordinaria ostensione delle reliquie della martire Agata tenutasi a Catania lo scorso 22 maggio: “Quando amo come Cristo, quando sono capace di perdonare, di donare, di farmi servo come Lui, il saluto del Risorto “Pace a voi”, risuona sulle nostre strade; quando lotto per la verità, la giustizia, la legalità e non mi trascino pigramente nella rassegnazione, sorge il sole di Pasqua su questo mondo invecchiato nel male; quando credo che l’amore di Cristo è più forte delle opere del maligno, frammenti di risurrezione entrano in un mondo segnato dalla morte”.

Accostarci a Maria significherà pertanto, non solo chiedere aiuto e protezione alla più dolce tra le madri ma trarre insegnamento dalla più autorevole discepola di Cristo. Scegliere Maria e quelle pagine di Vangelo che la riguardano da vicino, come manifesti della fede di un popolo significherà assumere l’impegno pubblico di amarla ed imitarla.

Mi piace pertanto significare così quel bel mantello sotto il quale molti ennesi in questi giorni si rifugiano in occasione della festa della Patrona, Maria santissima della Visitazione, un mantello cioè che significa protezione e consegna. Enna peraltro gode di grandi testimonianze di fede di suoi concittadini quali quella del santo monaco italo-greco Elia il Giovane o quella del beato martire gesuita Girolamo De Angelis. Entrambi furono annunciatori e precursori di Cristo, vivendo nella loro vita quella particolare sollecitudine nei confronti degli ultimi, così come Maria con l’anziana cugina Elisabetta. La santità infatti, ha un grande potere di contagio e sono certo che di quanti ricorreranno con vera fede e devozione a Maria si dirà: “tale madre, tali figli”!

Foto di Biagio Virlinzi

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Di Eduardo Guarnieri

(1998), studente di sacra teologia, si interessa dello studio che intercorre tra l’arte e la fede.

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