Palermo sta per celebrare ancora una volta la sua amata Santuzza, e quest’anno l’impressione generale è di un notevole miglioramento nell’estetica della statua – che verrà posta nel tradizionale Carro – rispetto all’edizione precedente. Nonostante si tratti di un evidente riciclo della statua del Festino scorso, quattro “pennellate”, o meglio, quattro accorgimenti artistici, sono bastati per valorizzare la figura della Patrona, rendendola più armonica e bella rispetto allo scorso anno. Gli artisti che hanno lavorato alla statua meritano un plauso perché sono riusciti a trasformarla in un’opera migliore.
Un successo di restyling… quasi completo
La statua di Santa Rosalia di quest’anno indubbiamente riscuote un maggiore consenso, dimostrando come interventi mirati possano fare la differenza. Anche l’allestimento del Carro è meno pagano dello scorso anno, almeno i simboli scelti in questa 401esima edizione sono un richiamo alla cultura architettonica di Palermo rispetto ai fregi pagani posti sul basamento del Carro dell’edizione passata.
Tuttavia, nonostante gli evidenti miglioramenti, due elementi continuano a generare perplessità e a stonare con l’armonia complessiva.
Quella mano alzata come la dea Atena

La prima è la mano alzata della grande statua di Rosalia, che ricorda in modo troppo marcato la posa della dea Atena. Questa gestualità, sebbene possa voler esprimere qualcosa, anche se non abbiamo capito cosa, stride con l’iconografia tradizionale di Santa Rosalia e la sua umiltà. Nonostante gli sforzi, sembra non si sia riusciti, nemmeno quest’anno, a trovare un’alternativa che fosse più in linea con la figura della Santuzza e meno evocativa di simbologie mitologiche.
Il secondo punto di domanda riguarda le rose che adornano l’abito della statua (qualcuno dice che sembrano due tatuaggi). Queste rose sono senza dubbio un elemento profondamente significativo, poiché richiamano il nome stesso di Rosalia e la simbologia legata alla purezza e alla bellezza. Le rose sono un richiamo diretto alla sua figura e alla sua storia, aggiungendo un tocco di grazia e riconoscibilità. Di fatto però sembra di trovarsi davanti ad una affascinante modella durante una sfilata di alta moda!
Rosalia parlava di Cristo
Eppure, emerge un’osservazione importante: Rosalia parlava di Cristo! La sua vita, la sua scelta di eremitaggio, la sua fede erano interamente dedicate a Cristo, e nessun’altra donna del suo rango (nemmeno le attiviste del nostro tempo che ammiccano a Rosalia per proclami politici) avrebbe scelto di vivere da eremita e di stenti sul Montepellegrino se non ci fosse stata la fede in Cristo a motivare la sua vocazione. Ed è per questo che, nonostante la bellezza e il significato delle rose, si avverte la mancanza di un benché minimo riferimento a Gesù Cristo.
In un’epoca in cui si cerca di recuperare l’autenticità e la profondità della fede, l’assenza di un simbolo o un accenno al fulcro della spiritualità di Santa Rosalia appare come un’omissione significativa. Un piccolo crocifisso, un simbolo cristologico o anche una semplice posa orante più esplicita, avrebbero potuto arricchire ulteriormente il messaggio della statua, rendendola non solo bella, ma anche teologicamente più completa e fedele alla figura della Santa.
Il problema di queste incongruenze sta nel fatto che le maestranze artistiche (assolutamente preparate e capaci) che hanno lavorato sulla statua e sul Carro di Santa Rosalia probabilmente non sono state accompagnate da maestranze con competenze teologico-spirituali adeguate. Storicamente, infatti, è stata proprio questa sinergia- l’unione tra la maestria artistica e la profondità della fede – a portare alla creazione di magnifici splendori architettonici e spirituali come il Duomo di Monreale, la Cattedrale di Palermo, la Cappella Palatina e La Martorana.
Speriamo che in futuro (anche se dobbiamo attendere ormai il prossimo anno) si possa presentare per il Festino una Santuzza che sia non solo esteticamente pregevole, ma anche pienamente rappresentativa della sua fede cristiana, senza la quale fede cristiana oggi non avremmo nemmeno un Festino da raccontare.
Foto: Baldo Lo Cicero
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