Stamattina, lunedì dell’Angelo, il mondo si è svegliato più silenzioso. Papa Francesco ci ha lasciati.

Soltanto ieri, nel giorno della Pasqua del Signore, ti abbiamo visto dalla tua papa-mobile benedire  il mondo, con la voce stanca ma lo sguardo limpido di chi sa che il tempo si sta assottigliando. È stata l’ultima volta che ti abbiamo visto e porteremo quel tuo sorriso stanco, nel cuore.

La notizia, seppur temuta da tempo, è arrivata come uno squarcio, carica di un dolore profondo. È morto il Papa che più di ogni altro ha saputo farsi prossimo per camminare per strada, tra i volti della gente.

Io l’ho visto da vicino, negli occhi, in un’aula del Vaticano che profumava di storia. C’era una luce nei suoi occhi, qualcosa  di semplice e autentico che non si impara, non si recita.

Io l’ho visto da vicino , più di una volta, non  da spettatrice ma da giornalista che ha sete di raccontare la bellezza del volto della Chiesa e le storie di tanti uomini e donne.

Ricordo che era un evento  dedicato alle persone con disabilità, mi sono trovata spiazzata di fronte alla sua umanità. Non dimenticherò mai il modo in cui mi ha guardato: occhi profondi, pieni di qualcosa che non saprei chiamare se non “presenza”.

Mi ha chiesto cosa di cosa mi occupassi e di pregare per Lui …Non ho mai dimenticato questo momento. L’ho rivisto qualche mese fa durante il Giubileo della comunicazione e ho compreso tutta la sua fragilità.

Non era un uomo in posa. Era lì, tutto intero, aveva sete d’aria, non riusciva a parlare, ma ci ha regalato sorrisi e speranza.

Papa Francesco è stato un uomo che non ha avuto paura di cambiare. Ha parlato di pace mentre nel mondo si costruiscono  muri. Ha chiesto perdono, accoglienza, ascolto. Ha detto che la Chiesa deve essere “ospedale da campo”, che i pastori devono avere “la puzza delle pecore” . Di questo ne ha fatto un principio guida, anche a costo di essere frainteso, ostacolato, criticato.

Papa Francesco era un pastore. Parlava con le mani, con gli occhi, con i silenzi. Ha abbracciato i poveri prima dei potenti, ha lavato i piedi ai carcerati, ha chiesto perdono. Non era comodo, non era scontato. Era vero.

Il suo pontificato ha attraversato guerre, pandemie, crisi di fede e scandali interni. Eppure è riuscito a spostare l’asse della Chiesa, a puntare sulla compassione, sulla tenerezza, sulla misericordia. Non senza opposizioni, non senza fatica. Ma con una coerenza che, oggi più che mai, appare come il suo testamento spirituale.

Oggi, in questo anno giubilare dedicato alla Speranza, mentre le campane suonano lente in Vaticano e tutto si ferma, mi torna in mente quella frase che aveva pronunciato quasi sottovoce, parlando di sé: “Io sono un peccatore, ma a cui il Signore ha guardato con misericordia.” In queste parole c’è tutto il suo pontificato.

Addio, Francesco. Ci hai insegnato che la santità deve avere le scarpe consumate e il cuore aperto colmo di speranza, che essere Papa non significa essere sopra gli altri ma più vicino. E in questa vicinanza, tanti credenti e non, si sono sentiti, finalmente, accolti.

Francesco, buon ritorno  alla casa del Padre e stavolta prega Tu per me!

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Di Adele Di Trapani

Giornalista, collabora con “Radio Spazio Noi”, l’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo. Docente di Teologia Morale, fa parte anche dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.